El lenguaje de los machetes (Il linguaggio dei machete) – 26a Settimana Internazionale della Critica

Ray e Ramona, entrambi trentenni, stanno insieme da tanto tempo. E insieme si preparano a compiere un gesto estremo, incomprensibile. Bardati di candelotti di dinamite compiranno un attentato in un luogo pubblico. Come sono arrivati a concepire un gesto così nichilista, tragico e senza appello? Ray, di estrazione borghese e in conflitto con la famiglia, è sempre stato un attivista politico, disposto a battersi attivamente in manifestazioni pubbliche per i diritti umani e la giustizia sociale, Ramona invece è la scatenata cantante di un gruppo punk. La loro frenetica storia d’amore, incentrata sul comune sentimento anarcoide, è spesso anche increspata da fasi di forte conflittualità. Salvo condurli fino al punto di non ritorno dell’attentato suicida, che spietatamente impone che non ci siano ripensamenti.

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La recensione di Mariella Cruciani

Il regista messicano Kyzza Terrazas, già compagno di lavoro di star del cinema come Diego Luna e Gael Garcia Bernal,  racconta, nel suo “El lenguaje de los machetes”, la storia di una coppia di trentenni pronti a compiere un atto di poetico terrorismo. Il film si apre proprio con la scena culminante in cui i due si bardano di candelotti di dinamite per far saltare in aria la chiesa della Vergine di Guadalupe, luogo-simbolo della “messicanità”.

La pellicola procede, poi, a ritroso mostrandoci frammenti di vita dei due stralunati e fragili personaggi: lui, Ray (Andrés Almeida), è un video maker militante con simpatie zapatiste, lei, Ramona (Jessy Bulbo) è una cantante punk. Entrambi odiano le ingiustizie sociali e considerano l’amore come un atto di radicale trasgressione ma, nello stesso tempo, sono alle prese con la più prosaica fatica di crescere e divenire adulti. Questa duplicità è evidente soprattutto nei comportamenti e, persino, nell’aspetto fisico di lui: Ray ha un viso che ricorda, contemporaneamente, Fassbinder e Silvio Muccino, come dire che, da una parte, evoca l’angoscia profonda del vivere, dall’altra, le difficoltà ad uscire da un’ adolescenza prolungata. Ramona, con le sue cicatrici reali e simboliche, è, comunque, più positiva di lui: al desiderio di morte di Ray contrappone, infatti, la possibilità di fare un bambino insieme (“Possiamo chiamarlo Rasoio, fargli la cresta rossa, a 3-4 anni gli diamo la colla…”).

Si tratta, insomma, di due personaggi che camminano sul filo dell’abisso, anche se lei, come si vedrà nell’epilogo, possiede maggiore forza e consapevolezza. Il film è, naturalmente, girato con stile nevrotico e concitato, pienamente corrispondente all’interiorità complicata e ambivalente dei due. In definitiva, Terrazzas realizza un’opera prima ambiziosa, densa di temi (la famiglia, la vita di coppia, la sorte individuale e i destini del mondo), alleggerita dall’ironia ma profondamente tragica nella sostanza. Verrebbe da ribattezzarla, citando Bellocchio, “I pugni in testa”, pensando al gesto che Ray compie spesso e alla carica di rabbia anarcoide e impotente che caratterizza i due sfortunati amanti.

Mariella Cruciani

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L’inizio del film, così forte, radicale, inequivocabile, introduce lo spettatore in un contesto in cui le scelte sembrano essere state già fatte. Dove cioè non è possibile cambiare il corso degli eventi, giunto a un punto in cui tornare indietro sembra – se non impossibile – altamente improbabile. Dal principio insomma l’opera prima di Kyzza Terrazas, che ha l’età più o meno dei suoi tragici personaggi, impone un’atmosfera molto concitata, una dimensione sentimentale, politica ed esistenziale sopra le righe, senza misure intermedie. In cui la vita e la morte procedono di pari passo. Ogni scelta, ogni passaggio, ogni istante della relazione d’amore dei due protagonisti ha il sapore di un gesto eroico, unico, irripetibile. In questo contesto il rock di Ramona e l’attivismo politico di Ray si equivalgono, ma soprattutto delineano un terreno comune di disagio giovanile o di chi si sta lasciando alle spalle la prima giovinezza e si interroga sulla sorte individuale, sul senso della vita di coppia, e cerca nelle sorti del mondo e nel bagno di folla, durante un corteo o durante una manifestazione di protesta, a rischio di subire la violenza delle forze dell’ordine, una risposta coerente o comunque istintiva, nevrotica, sintomatica ai dilemmi privati. Eppure in questa relazione, in questo gioco di condivisione assoluta, senza compromessi di sorta, a suo modo vitale anche al cospetto della morte imminente (esperienza autodistruttiva peraltro vissuta come toccasana e sigillo romantico di condivisione totale), qualcosa non va. C’è però un’ombra che aleggia sull’impressione di perfetta sintonia, pur tra liti e incomprensioni, che i due amanti trasmettono. Forse l’uomo e la donna non affrontano il rapporto con eguale generosità, non sono disposti nella stessa misura a darsi l’uno all’altra alla pari, non ci credono fino in fondo nello stesso modo tutti e due…

(Anton Giulio Mancino)

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Kyzza Terrazas, trentaquattrenne originario di Nairobi, ha studiato cinema alla Columbia University di New York. Ha pubblicato il suo primo libro di racconti nel 1997 e un secondo nel 2010. Ha realizzato vari cortometraggi come sceneggiatore, produttore e regista. Ha anche firmato la sceneggiatura di Deficit, diretto da Gael Garcìa Bernal, e presentato nel 2007 alla Semaine de la Critique di Cannes. Lavora attualmente come responsabile del settore degli home movies alla Cineteca Nazionale messicana.


di Redazione
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