El campo (Il campo) – 26a Settimana Internazionale della Critica
La casa in campagna appena acquistata da due giovani coniugi, Santiago ed Elisa, con una bambina piccola, si trasforma ben presto in un luogo inquietante. Non soltanto lo spazio domestico, ma anche l’ambiente rurale, il vuoto circostante e la gente del circondario mettono sempre più a disagio Elisa, perennemente allarmata da ogni rumore notturno, ogni visita inaspettata, ogni circostanza che la trova impreparata. Anche i rapporti affettivi e sessuali tra Santiago ed Elisa subiscono il contraccolpo di questa nuova situazione. Tutto ciò sta progressivamente destabilizzando non soltanto l’equilibrio della coppia, ma anche quello psichico della donna, allarmata tra l’altro per l’incolumità della bambina dentro una cornice di eventi, persone, animali, luoghi, improvvisi sbalzi d’umore.
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La recensione di Mariella Cruciani
L’opera prima El campo dell’argentino Hernàn Belòn si presenta, inizialmente, come un film di genere: lo spettatore è portato a pensare, dalle prime inquadrature, che la tranquilla famiglia media protagonista precipiterà, con l’arrivo nell’inquietante casa di campagna, in una situazione incontrollabile e pericolosa. In realtà, andando avanti, si capisce che siamo più vicini ad atmosfere e contenuti onirici che non ad un horror qualsiasi. Elisa ( Dolores Fonzi), Santiago (Leonardo Sbaraglia) e la piccola Matilda (Matilda Manzano) si muovono in un mondo fatto di attese, di rumori, di visite inaspettate, di allarmi continui, che altro non sono che la proiezione dello stato d’animo della donna.
L’azione non avviene secondo le normali regole di causa-effetto ma secondo una logica soggettiva ed irrazionale riconducibile al mondo interiore della protagonista. Vengono in mente, per analogia, film come “Spider” di Cronenberg o “The Others” di Amenabar dove nulla di ciò che vediamo accade effettivamente nella realtà.
Elisa, perennemente angosciata per l’incolumità della bambina, sta facendo i conti con l’ ambivalenza nei confronti della maternità: in più di una scena, il regista mostra l’insofferenza di lei verso la figlia e il fastidio per ogni suggerimento in proposito. Il finale è, in tal senso, risolutivo: quando, dopo la morte dell’anziana vicina, Elisa decide di seguire il suo consiglio e di prendere con sé i cagnolini affinché facciano compagnia a Matilda, la maternità è stata, probabilmente, metabolizzata ed accettata.
Lo stesso regista ha ammesso che l’idea del film proviene dalla nascita della sua bambina e che è difficile diventare genitore, sia per le donne che per gli uomini. “El campo”, storia della crisi di una coppia di fronte alla nascita della figlia, è, dunque, il film di un uomo che fa suoi e rappresenta, con sofferta sensibilità, lo spaesamento e lo smarrimento di una donna. Tutt’altro che un horror!
Mariella Cruciani
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Nell’attuale fase in cui il cinema contemporaneo stenta a percorrere strade autenticamente originali a livello di sperimentazione e in cui rischia anche di irrigidirsi in standard narrativi privi di slancio, l’opera prima di Hernán Belón, Il campo, offre una soluzione intermedia – ma non di compromesso – estremamente ricca e suggestiva. La trovata più efficace del film è la sua apparente tipicità. Una tipicità che induce lo spettatore ogni volta a immaginare sviluppi possibili, collaudati dalla tradizione cinematografica, condizionati da precisi generi di riferimento. Il film però, dopo aver ostentato questi tracciati, sceglie sistematicamente di prendere in contropiede lo spettatore, lo induce a ricredersi e a rifare i conti con la propria mappa mentale. Detto meglio, Il campo dal principio suscita impressioni contrastanti, induce a credere di trovarsi di fronte allo schema incontrovertibile di un horror, forse di un thriller, magari anche solo di un film fantastico. La giovane coppia di protagonisti, con la bambina molto piccola e perciò ancora più inerme, si presenta come il prototipo della famiglia media che si ritrova sbalzata da un momento all’altro in una situazione incontrollabile, spaventosa, strisciante. Sono, o piuttosto sembrano essere, personaggi ordinari costretti loro malgrado ad affrontare circostanze straordinarie. È proprio dalla calma piatta a trarre linfa vitale – a colpo sicuro – quella suspence che ogni volta si crede debba prendere definitivamente il sopravvento. E che invece il film lascia stemperare, provvede puntualmente a disinnescare. Si ha così l’impressione che l’effetto pieno di queste forze esterne, di queste minacce occulte, di questi pericoli impercettibili sia soltanto rimandato, o che l’appuntamento con il male e di conseguenza l’entrata in scena e in quadro dell’oggetto invisibile e insidioso della paura siano soltanto stati dilazionati, come si conviene a un film di genere con l’obbligo di far spavento. Ma Il campo è un’altra cosa. Tutto sta a scoprirlo in tempo…
(Anton Giulio Mancino)
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L’argentino Hernán Belón, diplomatosi alla Film School of the National Institute of Cinema, ha lavorato come regista, produttore esecutivo, montatore e assistente alla regia. Ha diretto il cortometraggio Aluap (1997), il film per la tv Fish & Pay (2003), i documentari Land of Refuge (2005), The Foro (2006), The Tango of My Life (2008), Sofia Cumple 100 Años (2009). Il campo è il suo primo film di finzione.
di Mariella Cruciani