Binguan (The Coffin in the Mountain/Una bara da seppellire)

Un ragazzo cerca di sfuggire all’autorità della famiglia, ma quando ucciderà accidentalmente un teppistello locale, il suo destino si legherà indissolubilmente a quello del padre. Una donna vittima di violenza domestica trova conforto nelle braccia di un amante, ma proprio mentre pianifica l’assassinio del marito giunge la notizia della sua morte. Un onesto capo villaggio si sta preparando alla pensione, ma un evento straordinario che coinvolge suo figlio aprirà una voragine di fronte a lui.

Agatha Christie ne sarebbe andata ghiotta: una serie di personaggi comuni in un paese del sud della Cina alle prese con una serie di delitti, bugie, vendette. Molte verità nascoste attorno a una bara nera che si apre e si chiude, che va e che viene, di notte e di giorno. Attorno alcune donne – anche molto cattive – e alcuni uomini – anche molto violenti – che piangono perché il loro dolore è falso, perché il loro amore è vero. Perché quella bara è la loro assicurazione sulla vita, è una torbida speranza, è un’arma di ricatto. Xin Yukun ha scritto a quattro mani la sceneggiatura con Feng Yuanliang, ha diretto un film molto noir, ne ha curato il montaggio. È un congegno delicatissimo di incastri, azioni e desideri nati dalla volubilità del cuore, dalla bramosia dell’animo, dagli scherzi del caso. Dal tempo, chiaro e scuro, che va e che viene.

Xin Yukun ha 30 anni ed è laureato in Fotografia all’Accademia Cinematografica di Pechino. Il suo cortometraggio Seven Nights è stato selezionato in numerosi festival cinematografici. Ha lavorato per tre anni alla sceneggiatura di Binguan, il suo lungometraggio d’esordio.

NOTE CRITICHE di Mariella Cruciani

Binguan, sceneggiato, diretto e montato dal cineasta cinese Xin Yukun, è un film difficile da catalogare, in bilico tra Dostoevskj e i Manetti Bros. Si apre presentandoci un ragazzo che cerca di sfuggire all’autorità del padre, un onesto (fino ad allora) capovillaggio  che si sta preparando alla pensione. Quando il ragazzo uccide accidentalmente un balordo che lo ricatta, il padre fa di tutto per difendere il figlio. Contemporaneamente, una donna pianifica con l’amante l’assassinio del marito ma il destino sembra precederli, facendo fuori (ma sarà vero?) l’ingombrante personaggio. C’è anche una ragazzina che finge di essere incinta  e suo padre che cerca per lei un accasamento veloce. Suddivisa in capitoli (Gravidanza, Segreti, La bara sulla montagna), l’opera prima di Xin Yukun intreccia tre storie in cui non mancano bugie e segreti: tutti, in questo remoto villaggio cinese del Sud, hanno qualcosa da nascondere e da proteggere e non si fanno scrupoli pur di raggiungere i propri scopi.

In questo senso, all’inizio, il regista ci immerge in un’atmosfera plumbea, carica di sospetti e rimorsi, facendo venire in mente a chi guarda un classico letterario come “Delitto e castigo”. Andando avanti, però, il tono cambia e i vari personaggi , alle prese con menzogne, vendette, scherzi del caso perdono, pian piano, la profondità e lo spessore iniziali per trasformarsi quasi in figurine di un gioco tragicomico che ruota attorno ad una bara nera che va e che viene, che si apre e si chiude. Funerali sono continuamente iniziati, interrotti e ripresi con nuovi cadaveri: il pubblico, se riesce a seguire e a non perdersi, è onnisciente mentre i personaggi sono intrappolati in una sorta di labirinto da cui non riescono a districarsi.  Il film presenta,sostanzialmente, due anime, come ha spiegato bene il regista: “Una volta ho sentito raccontare una storia su tre famiglie che vivevano in campagna e si passavano una bara dall’una all’altra: in questo modo la seria questione della morte diventava molto ironica”. Costruita con virtuosismo e dagli incastri perfetti, la pellicola oscilla tra riflessione morale e puro “divertissement”, spiazzando lo spettatore, spesso divertendolo, talora stancandolo. Xin Yukun si lascia, forse, prendere troppo la mano dal gioco da lui stesso orchestrato ma resta fuori discussione la scrittura precisa e implacabile del film oltre che la recitazione degli attori, credibili ed accordati fra lor per dar vita ad una partitura folle che obbliga ciascuno a mettere da parte il proprio io ideale per fare i conti con il vero se stesso.

(Mariella Cruciani)


di Redazione
Condividi