Se solo fossi un orso

La recensione di Se solo fossi un orso, di Zoljargal Purevdash, a cura di Emanuele Di Nicola.

È possibile girare un coming of age in Mongolia? Certo, se viene costruito come l’esordio della regista Zoljargal Purevdash, già nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2023, ora nelle sale italiane con Trent Film dal 14 marzo. Un titolo coraggioso, Se solo fossi un orso, che nella traduzione letterale dell’originale mongolo suona come Se solo potessi essere ibernato (If Only I Could Hibernate), rendendo il riferimento all’animale più indiretto e metaforico. La sostanza non cambia: il protagonista è Uzii, un ragazzo che vive nella periferia estrema fuori dalla capitale Ulan Bator, in un luogo immerso nella neve e scolpito tra i ghiacci. A scuola mostra un’inclinazione particolare per la fisica, anzi un vero e proprio talento, tanto che un insegnante lo invita ad elevarsi partecipando alle gare nazionali: “Altrimenti resterai un rospo nello stagno piccolo”, afferma.

Detto, fatto. Il giovane entra nella competizione nazionale per una borsa di studio nella capitale, ma ecco intervenire l’ostacolo: la famiglia. O meglio, per estensione il contesto di provenienza. La mamma che non sa leggere né scrivere ha trovato lavoro lontano per tutta la stagione, deve allontanarsi da casa affidando a Uzii il fratello e la sorella piccola nell’intero inverno. Il nucleo è poverissimo. Il ragazzi indossa vestiti umili, quattro stracci, dentro casa e sfoggia la divisa elegante in classe, a cui tiene particolarmente. Certo, se bisogna vagare – anche di notte – in cerca di oggetti da bruciare per riscaldarsi, preparare a dovere la gara diventa difficile e quasi impossibile. Quando al cosiddetto “welfare” dovuto alle famiglie svantaggiate, tutto il mondo è paese: i burocrati pubblici portano a casa di Uzii una stufa che spetta agli indigenti, ma lui non ha niente per farla funzionare.

La cineasta Zoljargal Purevdash, trentaquattro anni, debutta al lungometraggio con una storia semplice, un adolescente e le sue difficoltà, posto davanti al grande ostacolo da superare, vincere il contest e insieme tenere unita la famiglia. Il classico meccanismo teen acquista però una sfumatura differente in virtù del paesaggio: lo sfondo mongolico, gelido e inospitale, viene usato dalla regista e manovrato senza retorica, semplicemente c’è, sta lì a ricordare che siamo in un’area climatica estrema e complessa, che si fa correlativo oggettivo delle difficoltà concrete del protagonista. Come è arduo muoversi nei boschi innevati e trovare legna, così non facile sarà imboccare la via maestra per il giovane Uzii. La propria strada è sempre il compromesso tra il “sogno” e la necessità.

Purevdash non gira un film d’autore contemplativo e rarefatto, bensì sta addosso al personaggio limitandosi a seguire la sua parabola, raccontare la sua storia. Il leitmotiv della colonna sonora la rende ancora più accessibile e popolare. Se Uzii ha vinto davvero, non ci viene detto, possiamo solo leggerlo nel controcampo del suo volto. La riuscita del film sta nella crasi tra la peculiarità del contesto e la vicenda universale del protagonista, un povero come tanti, in cui tutti possono riconoscersi.


di Emanuele Di Nicola
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