Saw X

La recensione di Saw X, di Kevin Greutert, a cura di Gianlorenzo Franzì.

Potrebbe riassumersi in poche parole il peso specifico di un film come Saw X, decimo -vabbè, nomen omen– capitolo della fortunata saga ideata da quel genietto di James Wan quasi vent’anni fa (nel 2003 uscì il corto Saw, fulminante e fulmineo, riproposto poi come scena interna all’omonimo film capostipite di un anno dopo): perché sono tanti e molteplici e stratificati i motivi per parlare di un film che alla fine dei conti non aggiunge niente di nuovo -ma neanche toglie nulla-, e che non brilla né per i suoi pregi ma neanche per i difetti.

Prima di tutto, onore al merito: se dal 2004 gli incubi di cinefili e non sono popolati anche da un altro feticcio e un altro serial killer, va riconosciuto a Wan l’intuizione di un personaggio che ha una morale abbastanza salda ma contorta da punire i peccatori del nuovo millennio con una legge del contrappasso granguignolesca.

Oltretutto, i primi quattro capitoli (con Darren Lynn Bousman a dar mano forte al regista malese naturalizzato australiano) hanno spostato con la violenza di un maglio i limiti non tanto del mostrabile, quanto dell’estetica della crudeltà (e) della visione. L’essenza del porno viene rispettata e declinata secondo il cinema dell’orrore: gratuità nel mostrare ciò non serve per la pruriginosa curiosità di un peeping tom qualunque, conferendo a quel saw un significato doppio e teoretico. Saw è sega ma anche visto, e giudicato: sottintesi forse involontari che però si legano a doppio filo con Bin Laden Abu Grahib e l’11 settembre del 2001 e convergono nel torture porn, simboleggiato in quelle due dite necrotizzate sulla locandina censurata di Saw II

Cosa rimane di tutto questo, in Saw X? Niente, se non le frattaglie. E non tanto, o non solo, perché il torture porn ha perso la sua carica sovversiva -perché si sa, l’horror vive solo se germina sul presente- o perché il gusto barocco della messa in scena della morte con echi argentiani si è trasformato in semplice macelleria; e neanche perché in cabina di regia è andato via Bousman e resta un autore di videoclip montatore.

Niente di così concettuale: Saw X è consapevole della morte del suo significato, e allora adatta il significante ad un postmodernismo un pelo già passato. Si ripiega su se stesso perché sembra l’unica strada percorribile, visto il fallimento del tentato reboot di Spiral (2021) e si costruisce sulle sue stesse ceneri, cambiando l’impostazione narrativa -diventa chiaramente un film su Jigsaw, con il mefistofelico Tobin Bell a riempire lo schermo- lasciando inalterata solo la patina splatter.

E allora mostra un po’ di carattere solo quando ha il coraggio di rimettere al centro della scena decapitazioni e mutilazioni: peccato che mostri un po’ anche la corda sfumando su un finale luminoso che contraddice l’essenza stessa del franchise, ma soprattutto quando umanizza il Kramer di Bell (ripetendo l’errore biblico di Rob Zombie con il suo dittico di/su Halloween) facendogli perdere la forza primigenia che non aveva bisogno di giustificazioni per uccidere e smembrare. Riuscendo solo a far chiedere al pubblico perché.


di Gianlorenzo Franzì
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