Saturno contro

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saturno_contro1Con Saturno contro Ferzan Ozpetek resta fedele ai temi amati e narrati nei precedenti film, portando avanti una riflessione sui sentimenti, sul senso del dolore e della perdita, sulle difficoltà dell’amore, che sia omosessuale o eterosessuale. La storia è quella di un gruppo di amici, diversi per età e interessi, che si ritrova unito di fronte alla morte inaspettata del giovane Lorenzo. Come in una versione rivista, più sobria e meno audace, de Le fate ignoranti, Ozpetek racconta ancora le cene tra amici in un appartamento romano, distanziandosi però dai toni più forti e vivaci del suo terzo film, che faceva sue certe atmosfere tipiche del cinema di Almodovar.

In Saturno contro il tema dell’omosessualità resta quasi sullo sfondo, lasciando spazio ad un discorso più ampio sull’amicizia, e i personaggi si trovano costretti a confrontarsi e a scrutare nel fondo del propria intimità. Il regista intreccia le loro storie personali, tutte diverse. Antonio e Angelica (Stefano Accorsi e Margherita Buy), amici di Lorenzo, vedono vacillare il loro equilibrio di coppia quando tra loro si insinua un’amante. Ma di fronte al dolore di Davide (Pierfrancesco Favino), scrittore, compagno dello stesso Lorenzo, sapranno pian piano relativizzare la loro sofferenza e la loro rabbia. A loro si uniscono altri amici di Lorenzo: un giovane aspirante scrittore e una ragazza dedita alle droghe (Ambra Angiolini), il sarcastico ex compagno di Davide, più anziano di lui, e la buffa coppia formata da una traduttrice (Serra Yilmaz, già vista in molti film di Ozpetek) e un poliziotto.

Il padre di Lorenzo, insieme alla moglie, arriva a Roma per assistere il figlio ormai in fin di vita. Nei corridoi bianchi e asettici dell’ospedale incontra gli amici di Lorenzo, e conosce finalmente Davide. Ozpetek descrive efficacemente i dubbi e lo stupore di un uomo che, pur conoscendo le preferenze sessuali del proprio figlio, resta di fatto spaesato di fronte alla realtà, alla semplicità e alla naturalezza di una relazione che non è poi molto diversa da un qualsiasi altro rapporto tra uomo e donna. Il regista torna così a parlare di una problematica sempre attuale, senza tuttavia esasperare i toni della narrazione, ricordando che non esiste soltanto un mondo ghettizzato e chiuso in se stesso perché omosessuale, ma che ci sono anche contesti in cui è possibile vivere liberamente i propri sentimenti, con coraggio e serenità. Pur mantenendosi entro i confini di un cinema classico, che non vuole rischiare con scelte stilistiche troppo audaci, il film mostra tutte le capacità di un regista che conosce bene il suo mestiere, e riesce a restituire sullo schermo tutte le potenzialità espressive degli attori, anche di quelli meno esperti (si pensi ad Ambra Angiolini nel ruolo di Roberta e a Luca Argentero nel ruolo di Lorenzo), indagando i volti con lunghi primi piani, avvalendosi di dialoghi ben costruiti per una recitazione verosimile, lontanissima dagli eccessi teatrali e artificiosi che caratterizzano, ad esempio, certo cinema di Muccino, regista che ha spesso lavorato con gli stessi attori scelti da Ozpetek (come Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno), ma in modo decisamente diverso.

Le sequenze meglio riuscite del film sono quelle in cui i protagonisti si trovano soli di fronte al proprio dolore: senza cedere alle lusinghe del melodramma e del sentimentalismo Ozpetek dà credibilità al senso di vuoto, allo smarrimento e alla sofferenza. Roberta, che non aveva trovato il coraggio di vedere l’amico in coma all’ospedale, si fa forza di fronte al suo corpo senza vita. Ma come in una visione dolce Lorenzo le appare in piedi che sorride tra gli amici, mentre la canzone quasi spensierata che accompagna tutto il film fa da controcanto, con leggerezza, ad una scena intensa ma non opprimente. Allo stesso modo, descrivendo il pianto disperato che coglie il gruppo di amici all’obitorio, il regista sa comporre una scena misurata, credibile, non ridondante. Anche le realtà più difficili sono svelate dall’occhio della macchina da presa con carrellate lente e lunghi movimenti circolari che danno al film un ritmo morbido, dolce, come quello della colonna sonora.


di Arianna Pagliara
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