Salinger — Il mistero del giovane Holden

Quello di Jerome David Salinger, autore de Il giovane Holden (uno dei titoli di culto della letteratura mondiale del secolo scorso) ma soprattutto protagonista di una vita unica all’insegna della fuga dalla pazza folla e del disprezzo di ogni forma di rapporto col resto del mondo, è uno dei più sconcertanti e clamorosi casi di biografia negata e di reazione testarda alla conversione della propria vita privata in un happening pubblico.

Raramente la persona di uno scrittore diventa oggetto di idolatria per il pubblico dei lettori che ne amano le opere. Al massimo sono gli scritti che vengono fatti oggetto di culto lasciando in secondo piano il loro autore. Ma se si scrive un romanzo capace di influenzare cinque generazioni a partire dalla sua pubblicazione nel lontano 1951 e ci si isola dal mondo rifiutando ogni forma di contatto con il resto dell’umanità per proteggere la propria privacy trasformandosi in una leggenda vivente in un mondo che invece rincorre la visibilità pubblica a ogni piè sospinto, non è una sorpresa che la figura di Salinger sia stata da sempre oggetto di venerazione e che mezzo mondo abbia cercato di indagare sul mistero della sua esistenza ai margini di tutto e tutti tentando non solo di violarne la protettissima privacy ma sopratutto di capire i motivi di una scelta tanto estrema a radicale di isolamento assoluto.

Il documentario Salinger (che i titolisti italiani si sono affrettati a rendere più intrigante con l’aggiunta del sottotitolo Il mistero del giovane Holden) — distribuito nelle sale italiane il 20 maggio per un solo giorno e diretto dallo sceneggiatore Shane Salerno — si inserisce a pieno titolo nella lunga e forse ormai un po’ abusata scia di tentate intrusioni nei misteri e nelle molte reticenze che circonfondono da sempre la figura di questo scrittore fantasma, sparito dalla vita pubblica nel 1965 e da allora capace di negarsi a ogni forma di coinvolgimento pubblico incrementando così la leggenda fiorita intorno alla sua persona.

Sceneggiatore di grande successo con alle spalle importanti esperienze in generi che spaziano dall’horror fantasy (la serie di Alien vs. Predator, Ghost Rider e Armageddon) al poliziesco di razza (Shaft e il recente Le belve) ma anche tanta TV con serial di qualità quali Hawaii Five-0, il quarantenne di Memphis Shane Salerno ha deciso di esordire nella regia con un’impresa giudicata da molti impossibile: ovvero risolvere l’enigma Salinger attraverso un documentario di due ore nel quale fosse possibile rispondere ai tre quesiti insoluti che da sempre assillano i cultori e i fan in genere di questa misteriosa figura di eremita letterario. E cioè per quale ragione non pubblicò più una sola riga a partire dal 1965, perché decise di isolarsi nella casa bunker di Cornish nei boschi del New Hampshire e soprattutto che cosa abbia scritto nei 45 anni trascorsi in quell’isolamento testardo e un po’ arrogante.

All’inizio — ovvero dieci anni fa quando Salinger era ancora vivo — il progetto di partenza di Salerno era quello di realizzare un film vero e proprio al cui centro vi fosse la figura dello scrittore che, come per molti altri, era stato per lui una specie di folgorazione intellettuale nel momento in cui si era confrontato per la prima volta con la lettura de Il giovane Holden. E non a caso si era affrettato a comprare i diritti per la trasposizione cinematografica di Salinger: A Biography, accurata indagine biografica sul mistero Salinger pubblicata da Paul Alexander nel 1999 e di fatto il solo libro tra i moltissimi dedicati all’intrusione nella sua vita e nei rapporti tra opera e vissuto contro il quale Salinger non abbia fatto causa trascinandone l’autore in tribunale.

Quello che avrebbe dovuto essere un film «facile facile» da realizzare in pochi mesi e con un budget modesto da impiegare col passare del tempo si rivelò invece ben presto un Everest letterario impossibile da scalare. Man mano che Salerno incontrava colleghi dei tempi del «New Yorker», quei pochi amici che Salinger avesse veramente avuto, vicini di casa e soprattutto familiari decisi a confidarsi con lui (in tutto qualcosa come 150 diverse fonti primarie cui nessuno prima aveva avuto modo di accedere), il giovane e ardimentoso sceneggiatore si rese conto che sarebbe stato meglio convertire l’intero progetto in un documentario.

E così è stato. Il risultato sono le due ore di investigazione letteraria che per un solo giorno il pubblico ha avuto modo di vedere nelle nostre sale. A dir la verità, trattandosi di un parto durato dieci anni e considerando l’immensa mole di ricerca svolta in sede di preparazione (Salerno, con l’aiuto dello scrittore di bestseller David Shields, ha infatti messo insieme una biografia–inchiesta di 700 pagine destinata ad accompagnare il film) ci si poteva francamente aspettare molto di più.

Muovendosi con eccessiva incertezza tra il reportage di cronaca e il melodramma a tinte forti, Salerno si concentra non tanto sull’autore in sé e per sé e sul suo ambiguo rapporto con la scrittura e con la componente morbosamente autobiografica che ne domina la scarna produzione, quanto piuttosto su una sterile rincorsa dei motivi per cui Salinger si sia rinchiuso nella casa bunker di Cornish ma anche sui molti tentativi fatti da svariati reporter di immortalarne le fattezze nei momenti in cui il fantasmatico autore de Il giovane Holden faceva cose comuni come andare al supermercato o regalarsi una passeggiata nei boschi intorno alla sua dimora super protetta contro intrusi e ficcanaso di ogni sorta.

Lo spirito con cui Shane Salerno affronta la sua materia è quello dello scoop giornalistico fatto a tutti i costi pur sapendo già in partenza di non poter centrare l’obiettivo che ci si è prefissati ma persistendo nell’impresa per il semplice gusto di compierla. Un’ostinazione questa confermata a fine visione, quando è impossibile non ammettere che il film — non ostante gli strombazzamenti dei trailer pomposi di presentazione — non riesca assolutamente a risolvere quello che a conti fatti resta un enigma creato a tavolino da un uomo geniale capace di creare il mito di se stesso grazie a un accorto sfruttamento antimediatico di uno dei più grandi successi letterari del secolo scorso.

Enfatizzando i lati oscuri del Salinger uomo e spingendo molto — anche col ricorso a una colonna sonora enfatica e del tutto inutile — sul tasto patetico dell’esperienza devastante della guerra (dopo aver partecipato allo sbarco in Normandia, lo scrittore newyorkese fu uno dei primi a entrare a Dachau rimanendo scioccato da quanto vide all’apertura delle porte del campo), Shane Salerno affronta la materia con la foga del reporter a caccia della notizia bomba, lasciandosi anche andare a momenti di patetismo francamente evitabili e a lunghe digressioni da programma di gossip in prima serata TV.

Un’operazione questa che viene sostenuta dalle testimonianze di scrittori invaghiti della prosa di Salinger (Doctorow, Wolfe, Scott Berg, Gore Vidal e molti giornalisti) accanto ai quali sfilano davanti alla macchina da presa molte star hollywoodiane (da Danny De Vito a Edward Norton, da Martin Sheen a John Cusack) che testimoniano come la lettura del capolavoro di Salinger abbia loro cambiato la vita aprendola a orizzonti di inattesa rivelazione. Il tutto in una polifonia un po’ scordata e fin troppo dilatata nel tempo cui, nella versione italiana, non dà certo una mano un imbarazzante doppiaggio che fa somigliare gli intervistati — illustri o meno che siano — ai figuri che popolano il peggio del piccolo schermo su canali di facile consumo pomeridiano.

E alla fine l’impressione che si ha è che Salinger – Il mistero del giovane Holden cerchi di sfondare una porta già spalancata da anni (il presunto enigma di un burbero ch reagisce alle sirene della fama mediatica isolandosi dal mondo per godere in proprio della gioia dello scrivere senza dover soggiacere alle stucchevoli leggi dell’industria dello spettacolo), senza che il suo autore e regista si accorga di convertire in insostenibile debolezza quella che pensava fosse la forza più grande del proprio progetto. E cioè far luce su ciò che è tutto meno che un mistero e confermando quanto Salinger aveva fatto capire in maniera più che chiara per 50 anni con i presunti fumismi del suo vivere nascosto di epicurea memoria: ovvero che tra letteratura e Vita non ci sono diaframmi e che uno scrittore di razza è soltanto ciò che scrive e null’altro.

Trama

Attraverso le interviste ad amici, familiari e colleghi, il documentario cerca di far luce sulla vita e l’opera dell’enigmatico scrittore J.D. Salinger, autore del libro cult Il giovane Holden.


di Redazione
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