Runner

La recensione di Runner, di Nicola Barnaba, a cura di Emanuele Di Nicola.

Runner è colui che corre. Ma, in un set cinematografico, è anche l’assistente della produzione che presta mani e piedi, porta i caffè, va a prendere oggetti e interpreti, insomma anch’esso corre, seppure in altro modo. È lo schiavo, direbbe Boris. Su questo doppio significato vive il film di Nicola Barnaba, appunto Runner, in sala dall’8 febbraio: Lisa (Matilde Gioli) fa da runner sul set di uno slasher, a quanto pare, visto che nella prima sequenza c’è una final girl inseguita dall’uomo mascherato. Ciak, stop. Tutti a casa.

L’attrice protagonista del film nel film è Sonja (Hana Vagnerová), che dopo le riprese viene accompagnata in hotel proprio da Lisa, la quale sale in camera e si unisce a lei in un bacio appassionato: le due hanno una relazione. Mentre Lisa è in doccia, però, un uomo penetra nella stanza: Bosco interpretato da Francesco Montanari, richiamo vivente alla serie Romanzo Criminale, che è un agente corrotto tenuto in scacco proprio da Sonja che ha le prove dei misfatti. È venuto per ammazzarla. La colpa ricade sull’ignara Lisa, ovvio, e inizia la caccia all’uomo anzi alla donna.

Ecco allora che la protagonista, da runner di set, cambia il significato della sua essenza e diventa runner pura, ossia una che corre, scappa, si nasconde, insomma deve sfuggire agli aguzzini per restare viva. Tutto si svolge dentro il grande albergo, sette piani, che diventa un luogo labirintico prestato al vasto inseguimento tra predatori e preda. Come sempre, la ragazza troverà antagonisti ma anche assistenti, qui nella forma di una cameriera sordomuta. Con gli esperti banditi l’esito sembra scontato ma la forma fisica dell’atletica Lisa, e quindi di Matilde Gioli, rimette il punto in discussione…

Runner rispolvera la tradizione dell’action italiano e già per questo merita un elogio. I riferimenti sono palesi, dichiarati dallo stesso regista: cult come Arma Letale e Die Hard – Trappola di cristallo, dunque per estensione tutto l’action hollywoodiano, con riferimento particolare a quello racchiuso in unico spazio, tempo e luogo, e qui si torna a Bruce Willis nel palazzone contro i terroristi nel film di John McTiernan. Certo, va detto che in Runner non tutto funziona allo stesso modo: soffre di alcuni momenti narrativi troppo carichi, come il cattivo che recita la poesia prima di uccidere, oppure di una tentazione meta-cinematografica (il finale) che è un atto d’amore per il set, ma rischia di stonare nel film d’azione. Però funziona molto: l’intero inseguimento, il gioco del gatto e topo è inesausto, senza tregua, e costruisce un ottimo prodotto di genere come se ne fanno pochi oggi in Italia, perché sono tutti ossessionati dal “grande film” e dal “messaggio importante”. Così la dinamica di genere riacquista la sua dignità e basta a se stessa, senza bisogno di dire altro: è solo una corsa sfrenata. Solo?


di Emanuele Di Nicola
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