Ruby Gillman – La ragazza con i tentacoli

La recensione di Ruby Gillman - La ragazza con i tentacoli, a cura di Marianna Cappi.

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Sempre lei, l’adolescenza: quella che ti fa sentire goffa, fuori controllo, mostruosa, quando tutto quello che vorresti è essere normale. Ruby Gilliam ce la mette tutta per confondersi tra la folla scolastica, per non molleggiare troppo sulle lunghe gambe e per spacciare il suo colorito blu per un’origine canadese, ma le basta disobbedire una volta alla regola della madre e farsi un tuffo nell’oceano per scoprire una lunga serie di verità nascoste. Per esempio che non è una ragazzina ma un kraken gigante, discendente dall’unica stirpe rimasta di kraken giganti, erede al trono e nemica giurata delle bellissime e perfidi sirene, assetate di like e di potere.

La Dreamworks gioca ancora una volta al ribaltamento degli stereotipi, con un film colorato, dalla protagonista graficamente simpatica, che ha l’unico enorme difetto di essere fatto di pezzi di carne altrui. A un canovaccio narrativo uguale in tutto e per tutto a quello di Red di Domee Shi, con tanto di tara ereditaria matrilineare, si aggiungono, infatti, le branchie e la coda dei mostri marini di Luca, un’aspirazione alla regalità che ci riporta indietro di decenni nella timeline Disney, e la novità di una lotta tra figure femminili coetanee che lascia quantomeno perplessi. Di mostruoso, insomma, in Ruby Gillman – La ragazza con i tentacoli qualcosa c’è, e non è la tenera ragazzina con le ventose fluorescenti sulle mani e la crescita incontrollata, ma è la capriola del luogo comune, per cui anziché lavorare sulla diversità, come vorrebbe farci credere, il film di Kirk DeMicco e Faryn Pearl sguazza impenitente nell’analogia.

Questa fantasia sottomarina che usa un linguaggio teen sincopato, alternando costantemente inquadrature oggettive a semisoggettive filtrate dallo smartphone della giovane protagonista e delle sue amiche, ci parla ancora, fuori tempo, di principesse e balli di fine anno, e si rivela capace di andare in profondità solo e soltanto per procura, calzando le pinne della Pixar e ripercorrendone i passi senza pudore, non si sa se perché frutto di un rimescolamento ad opera di qualche intelligenza artificiale o, al contrario, per la pigrizia tutta naturale di chi trova conveniente scommettere sul già visto. Per quanto dinamico e strappa sorrisi, il film dell’estate della Dreamworks è un surimi addensato con un profluvio di colla glitter, che confonde ma non nasconde.


di Marianna Cappi
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