Rosalie

La recensione di Rosalie, di téphanie Di Giusto, a cura di Emanuele Di Nicola.

La regista Stéphanie Di Giusto guarda alla storia vera di Clémentine Delait, una donna con la barba che diventò famosa all’inizio del Novecento. Da qui germoglia lo spunto per Rosalie, l’idea angolare per costruire il film con protagonista Nadia Tereszkiewicz, presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2023 e dal 30 maggio nelle sale italiane. Un’epoca premoderna, dunque, in cui non si conoscevano le mutazioni ormonali né l’ipertricosi: la destinazione naturale del diverso era il freak show al tempo ancora attivo e prospero. Ma non parla di questo il film, che in teoria può avere come riferimento cinematografico La donna scimmia di Marco Ferreri (1964) per poi prendere tutta un’altra direzione.

Nell’incipit assistiamo a un matrimonio combinato in un piccolo centro della Francia nel 1870.  Rosalie incontra il futuro marito, Abel incarnato in Benoît Magimel, accompagnata dal padre e offrendosi rigorosamente avvolta nel vestito bianco, senza un centimetro di pelle: solo dopo lo sposalizio, giunti al talamo nuziale, rivelerà il suo corpo ricoperto di peli. La prima reazione istintiva di Abel è il rifiuto. Poi le cose cambiano. Rosalie realizza le difficoltà economiche del consorte, proprietario di un caffé ormai pieno di debiti; allo stesso tempo si rende conto che, facendosi crescere la barba, le persone iniziano a guardarla, in modo mesmerico, quasi ipnotizzati. Ecco che la giovane decide di impostare una politica mediatica ante litteram: anziché nascondersi si mostra, smette di radersi, si vanta del suo statuto di “donna pelosa”, lo mette davanti agli occhi di tutti. Il marito inizia gradualmente ad avvicinarsi alla moglie e sboccia qualcosa che assomiglia all’amore. Al contrario di Tognazzi nel film di Ferreri, che sfruttava la “scimmia” Annie Girardot per poi essere avvinto dal senso di colpa, qui Magimel percorre le tappe di un innamoramento sofferto ma sincero. “È bellissima”, dice un ragazzo accarezzando la nuova barba di Rosalie, esaltandone le peculiarità invece di stigmatizzarla per pregiudizio. Ma ovviamente lo scenario degenera. La comunità chiusa e ristretta non può tollerare la notorietà dovuta alla donna con la barba, quando si sparge la voce la situazione diventa particolarmente insopportabile: la reazione dei paesani sarà dura e spietata.

Rispetto allo storico cinema sulla diversità, che va dalla Venere nera di Kechiche ai vari uomini elefante, la differenza profonda sta soprattutto nell’approccio: Rosalie è una donna moderna, non vuole nascondersi ma vivere in autonomia, vuole essere quella che è, realizzandosi pienamente nella femminilità e nella sfera sentimentale attraverso la relazione con Abel. Respinge il bollino di vittima del contesto o fenomeno da freak show, che qui non si vede mai: pretende una vita normale, che i peli sul corpo non possono e non devono intaccare. È il mondo intorno a non sopportare una modernità tanto compiuta, intelligente e contemporanea, in grado perfino di sfruttare la smania di guardare degli altri per risanare una crisi economica. Insomma Rosalie è troppo avanti per la Francia di ieri, ma siamo sicuri che non lo sia anche oggi? Un racconto potente di libertà, una lezione di indipendenza servita dall’accurata ricostruzione d’ambiente, dalla prova dei comprimari – con un mefitico Benjamin Biolay – e soprattutto dall’interpretazione di Nadia Tereszkiewicz, portatrice di una grazia naturale che fa risaltare ancora di più i peli sul corpo senza peraltro intaccarne la bellezza.


di Emanuele Di Nicola
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