Ritorno a casa
De Oliveira riesce magistralmente a comunicare la vacuità del vivere di chi, dopo il lutto, deve, comunque, riempire il tempo che resta.
Lo stato d’animo di Gilbert Valence, protagonista di Ritorno a casa (Je rentre a la maison) di Manoel De Oliveira, è perfettamente rappresentato, nella sua evoluzione, attraverso le “peripezie” riguardanti le proprie scarpe.
Con un’invenzione che non sarebbe, probabilmente, spiaciuta al Moretti di Bianca , il maestro portoghese rende palpabili, tangibili, la necessità, e insieme la fatica, di tornare a camminare, dopo un lutto terribile, come quello che colpisce il suo personaggio.
Gilbert Valence, celebre attore di teatro, fino ad allora alle prese con la morte soltanto nella finzione teatrale ( è Béranger I in “il re muore” di Ionesco), si ritrova, improvvisamente, in seguito ad un incidente stradale, senza moglie, figlia e genero. Di fronte al dolore della triplice perdita, l’anziano attore tenta di reagire e, pur con l’inevitabile sofferenza, decide di contare, non solo simbolicamente, sulle proprie gambe. Si regala, così, un bel paio di scarpe nuove.
Non a caso, sono proprio queste ultime ad essere in primo piano durante la conversazione con l’amico che gli domanda come sta. La risposta, ineluttabile: “Vivo con la mia solitudine!”.
Allo sforzo di Gilbert di recuperare almeno la quotidianità, corrisponde, poi, un episodio, apparentemente banale: di notte, un ragazzo lo minaccia con una siringa e, dopo avergli sottratto giacca e orologio, si fa consegnare anche le scarpe.
Gilbert è, dunque, costretto a recuperare le vecchie calzature nere e, alla curiosità del suo agente e amico riguardo alla loro fine, replica triste, come un bambino, che le sue belle scarpe marroni sono scomparse.
Non solo: con una sorta di pudore, quasi nasconde i propri piedi, coprendosi le scarpe l’una con l’altra.
Il venir meno delle amate scarpe nuove costituisce l’amara prefigurazione della rinuncia finale del protagonista.
Dopo aver rifiutato di lavorare ad una volgare serie televisiva e aver tentato, invano, di riprender gusto alla recitazione, e alla vita, nei panni di uno dei personaggi dell’Ulisse di Joyce, Gilbert fa ritorno, stanco, a casa.
Nel suo salire lentamente e stentatamente le scale, osservato da dietro il vetro dal nipotino, De Oliveira riesce magistralmente a comunicare la vacuità del vivere di chi, dopo il lutto, deve, comunque, riempire il tempo che resta.
In questo senso, il maturo attore e il nipotino che lo guarda muto, sono assolutamente speculari, nella loro dignità e nella loro sofferta resistenza alla tentazione di lasciarsi andare.
di Mariella Cruciani