Remember to Blink

La recensione di Remember to Blink, film vincitore del premio Fipresci e del Premio della Giuria Internazionale alla 23a edizione del GoEast FilmFestival di Wiesbaden.

Dopo due cortometraggi pluripremiati, The Etude (Etiduas, 2013) e The Bridges (Tiltai, 2015), Remember to Blink è il potente debutto di Austėja Urbaitė nel lungometraggio. Il suo titolo originale, Per Arti, “Troppo vicino”, ancora meglio esprime lo stile e il tema di questo claustrofobico studio in forma cinematografica sull’ossessione del controllo sugli altri, sulla maternità e sulla gelosia, dietro l’ombra ribadita dell’amore per i bambini. Un confronto tutto al femminile tra la regista e le sue talentuose attrici protagoniste, in un intreccio culturale dagli inquietanti risvolti.

Remember to Blink è uno psicodramma che inizia in maniera idillica. Una coppia innamorata, Jacqueline (Anne Azoulay) e Leon (Arthur Igual), nel paesaggio ameno della campagna francese, immersi solitari in una natura dall’apparenza edenica, aspetta di ricevere i due fratellini lituani che ha adottato, una bambina e un bambino, dopo che la madre li ha abbandonati e hanno trascorso un traumatico periodo in orfanotrofio. La sorella maggiore, Karolina (Inesa Sionova), ha già bisogno di pillole per dormire e il fratellino, Rytis (Ajus Antanavičius), è stato evidentemente bullizzato. La coppia avrebbe preferito avere un solo bambino, ma non è stato possibile per le regole dell’adozione internazionale.

Per prima arriva Gabi (Dovilė Kundrotaitė), una studentessa universitaria lituana in Francia, assunta come ponte linguistico per rendere meno traumatico il passaggio culturale dei due bambini e comprendere le loro esigenze per le prime settimane. Ben presto, però, le differenze di temperamento e di metodi educativi accendono un conflitto, prima sotterraneo, poi esplosivo, tra le due donne, con Leon schiacciato tra queste figure femminili e la condiscendenza verso i bambini, incapace di mediare.

Gabi è naturalmente affettuosa e gioca alla pari con i due fratellini, che le si legano profondamente, anche per la lingua che hanno in comune. Jacqueline detesta sempre più aver bisogno di lei per farsi capire dai piccoli, tende al controllo su ogni cosa, spinge per una più severa disciplina. Per assimilare i bambini alla cultura francese e prepararli alla scuola, cambia persino loro il nome, in Caroline e Romain, in onore dello scrittore Romain Gary e le sue origini lituane. Il nervosismo di Jacqueline aumenta con i giorni, non dominando la situazione. Lei porta, segretamente dentro di sé, il trauma della perdita, quella di suo figlio Sebastian, avuto a sedici anni, che l’ha abbandonata. Lo spazio aperto della casa nel bosco diventa la claustrofobia dell’impossibile coesistenza.

Remember to Blink è un finissimo racconto psicologico, sul possesso e l’invidia, attraverso una storia d’adozione raccontata per mezzo di due lingue e di due donne. A rendere particolarmente originale il dramma è proprio l’ambientazione nella natura, sempre più grande, sempre più forte delle piccolezze umane. Forti emozioni avvampano nei cuori dei personaggi, come l’incendio che s’intravede bruciare il bosco. Anche nella natura c’è un’incessante lotta per l’affermazione: Urbaitė costruisce, su questo tema, alcuni memorabili brevi inserti visivi. Il microcosmo, dei cinque protagonisti, separato dal resto del mondo, è una strategia narrativa precisa per concentrare non solo in unità di luogo e azione la vicenda, ma anche per restringere i personaggi su loro stessi, i loro conflitti, i loro desideri, le paure, senza alcun confronto con l’esterno.

Affascinanti alcune precise simbologie disseminate nel film. Nella natura apparentemente edenica in cui la storia è ambientata, fanno spesso capolino serpenti che strisciano, a dare anche biblicamente il senso di un giardino paradisiaco che si trasforma in inferno. Un altro motivo ricorrente è quello della Gorgone (cui si ricollega il serpente). Nel racconto mitologico la più celebre è Medusa, una donna bellissima trasformata in mostro pietrificante dopo essere stata desiderata e stuprata da Poseidone. Una storia, quindi, di sofferenza, come quella nascosta da Jacqueline e il figlio avuto da giovanissima. Ma quello della Gorgone è un mito ancestrale più antico, la grande dea dei serpenti che indicava la proibizione a entrare in un luogo, incanalando la paura nel viso orrido della Gorgone, che pietrificava l’incauto che osava avvicinarsi a spazi che dovevano rimanere segreti. Una specie di divinità della soglia. La personificazione dell’incontro/scontro fra l’essere umano e la natura ignota. Il bloccarsi, il pietrificarsi, conseguenza di quando si varca un territorio che fa perdere se stessi. In questo senso, mirabilmente la regista fonde la continuità tra due culture, quella pagana e quella cristiana, creando una perturbante atmosfera di minaccia nella solare messinscena di Remember to Blink e nei suoi traumi nascosti.

Jacqueline diventa gelosa della più giovane Gabi, che sta marcando il suo territorio e, nella sua ottica, le sta prendendo quello che è suo: l’affetto dei bambini. Ma la profondità con cui Austėja Urbaitė costruisce il suo personaggio, e Anne Azoulay lo modella, fa sì che lei non sia semplicemente la matrigna cattiva, perché al suo interno custodisce un dolore che la lacera e irrigidisce, un primo fallimento come madre che la conduce sempre al limite del crollo nervoso. Tanto più che la stessa Gabi, con il medesimo intento di proteggere i bambini, va sempre più scorrettamente al di là dei suoi compiti, creando un’aspra lotta di autorità tra due donne diversamente manipolatrici e con irrisolte aspirazioni di maternità.

Tra le due protagoniste vive lo sguardo autentico dei bambini, che passano dagli occhi ridenti dei giochi nella natura alla disperazione di sentirsi lontani da ogni affetto, sradicati e abbandonati nel loro sincero bisogno di essere, semplicemente, amati.

Quello delle radici è, poi, il primo e più evidente tema di Remember to Blink, che comincia proprio come uno scontro tra culture. All’inizio del film, Jacqueline e Leon rimarcano gli errori nel francese ancora incerto di Gabi. Quando quest’ultima chiede loro perché avessero scelto di adottare due bambini lituani, Jacqueline risponde che sua nonna era russa, quindi, praticamente, per lei, la stessa cosa. Remember to Blink, progressivamente, c’interroga su come benestanti e colti europei occidentali parlino delle diversità culturali, ma poi le conducano a una forzata assimilazione. In questo senso, il film racconta a suo modo un’originale forma di neocolonialismo all’interno di un piccolo nucleo familiare. E solleva la spinosa questione se gli adulti abbiano il diritto di plasmare, cambiare l’identità di un bambino che non ha altra possibilità, alla fine, di ubbidire.

Fondamentale l’apporto al film delle due attrici protagoniste, naturalisticamente calate nei loro ruoli, veri poli di Remember to Blink. Anne Azoulay non capiva il lituano, per cui sul set, realmente, non comprendeva i bambini e Gabi/Kundrotaitė il suo unico legame linguistico con loro. A sua volta, la stessa Dovilė Kundrotaitė si sforzava di trovare le parole in un francese stentato che ha cercato di studiare per le riprese del film. Parte importante della narrazione è la luminosa fotografia di Julius Sičiūas, che avvolge tutte le scene in perfetta simbiosi con lo stile intimista della regia di Austėja Urbaitė, fatto di frequenti primi piani e piccoli dettagli sui moti interiori dei protagonisti, in una natura idillica che fa risaltare, per contrasto, l’ambiente familiare carico di tensioni e serpeggiante disagio.


di Davide Magnisi
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