Recensioni dalla SEMINCI 2022

I film della 67ª edizione della Semana Internacional de Cine de Valladolid.

Seminci 2022

The Blue Cartan
Official Section – Feature Films
di Maryam Touzani
Durata: 122’. Anno: 2022. Produzione: Francia, Marocco, Belgio, Danimarca.

Formatasi in giornalismo all’università di Londra, Maryam Touzani è tornata in Marocco dove ha svolto attività critica e di divulgazione del cinema del Magreb. Passata di recente dietro la macchina da presa col film Adam, ha sorpreso critica e pubblico alla Quinzaine di Cannes col suo secondo film The Blue Caftan. Non senza coraggio, considerando che in Marocco vigono pene severe per gli omosessuali, ha girato con tatto e discrezione una storia d’amore e di morte. Ambientata a Salé, antica medina del Marocco, narra di un piccolo e storico atelier di sartoria dove Halim e Mina, marito e moglie, lavorano a mano pregiati caftani. L’attività è in perdita, dovuta alla concorrenza dei tessuti prodotti con le macchine, tuttavia loro portano avanti un’antica tradizione di famiglia, e le commesse non mancano, ma i tempi di realizzazione sono lunghi.

Attualmente stanno lavorando a un raffinato caftano blu petrolio, richiesto dalla ricca moglie di un importante funzionario, e quando questa con arroganza ne sollecita la consegna, Mina le risponde a muso duro che possono anche venderlo ad altri clienti. Ciò dimostra il carattere forte della donna, piccola e nervosa, operata di recente di un tumore alla mammella, e non del tutto guarita. La sua determinazione deriva dall’amore per Halim, sentimento ricambiato dal marito che non ha nascosto tendenze gay. E c’è quasi un’intesa tra i due. Halim lavora sodo, è tenace e meticoloso, ed è un compagno fedele, innamorato e discreto, ma a volte trova sfogo alla sue inclinazioni con brevi visite a un hamman di quartiere, dove in cabine private ha fugaci incontri gay. La situazione si complica quando il giovane aiutante, Youssef, chiamato per accelerare la confezione del caftano, dichiara i suoi sentimenti ad Halim, che educatamente cambia discorso. Poi, l’aggravarsi della malattia di Mina sconvolge i ritmi quotidiani. Il marito resta a casa per assisterla, e le consegne subiscono ritardi. Sarà Youssef, notando la chiusura dell’atelier, a riprendere il lavoro. Mina, sebbene sempre più stremata, vorrà chiarire alcuni malintesi, e l’amicizia dei tre ne uscirà rafforzata. L’epilogo è già annunciato, ma riserva una sorpresa a testimonianza dell’amore e della devozione di Halim per la sua sposa.

Magistralmente interpretato da Lubna Azabal e Saleh Bakri, il film, sorta di dramma romantico, tocca temi che vanno dalla sensualità alla tristezza, dalla sessualità alla morte, illustrando desideri repressi, rispetto e autocontrollo dei sentimenti. «Più che parlare di tematiche», ha dichiarato la regista, che ha scritto la sceneggiatura insieme con Nabil Ayouch, «cerco di parlare di personaggi che mi commuovono interiormente e che non hanno la possibilità di esprimersi nella loro vita quotidiana». Il caftano, del quale Halim dice che non deve essere perfetto soltanto per la persona che lo indossa, ma anche per le generazioni che verranno, diventa il paradigma delle nostre azioni.

The Quiet Girl
Official Section – Feature Films
di Colm Bairéad
Durata: 94’. Anno: 2022. Produzione: Irlanda.

L’Irlanda rurale del 1981. Una sconquassata famiglia di contadini: il padre, accanito giocatore d’azzardo, donnaiolo e generalmente ubriaco; una madre incinta che deve occuparsi di due figli adolescenti, un bambino e una bambina di nove anni, Cáit, tranquilla, silenziosa. Disattenta a scuola, la ragazzina vaga spesso nella campagna e a volte di notte bagna il letto. Non lega con i fratelli. È una presenza timida e taciturna che osserva la vita movimentata degli altri, passando inosservata. Alla vigilia del parto, la madre decide di affidarla agli zii, una coppia che poco lontano gestisce una fattoria ben avviata. Rispondendo più con gli sguardi che con le parole, Cáit occupa la camera preparata dalla zia, fa un bagno caldo e si lascia pettinare i lunghi capelli. È tutto nuovo per lei, che si muove con circospezione tra uno zio introverso, apparentemente burbero e distante, e una zia affettuosa e disponibile. Col passare dei giorni, i comportamenti si smussano: piccoli gesti da parte dello zio la rassicurano, e la zia la porta in città per comprarle dei vestiti, ma una vicina, alla quale viene affidata per un paio d’ore, le comunica storie sgradevoli. La cosa non intacca minimamente la fiducia della piccola, ma indispettisce la zia, che tuttavia non reagisce. E non è quello il peggio: sarà la fine dell’estate e il ritorno a casa che interromperà il nuovo processo di formazione di Cáit.

Girato in gaelico, e come tale il più grande incasso di un film irlandese di tutti i tempi, The Quiet Girl è stato calorosamente applaudito alla Berlinale. Tratto da un romanzo del 2010, Foster di Claire Keegan, il film si riallaccia a un filone di storie della miseria irlandese, che però resta sullo sfondo. In primo piano il ritratto tenero e malinconico di una preadolescente, che sembra scoprire il mondo senza pronunciarsi. Interpretata da Catherine Clinch, per la prima volta davanti alla macchina da presa, Cáit ha un vestito logoro, le ginocchia sporche, i capelli che le coprono il volto e lo sguardo attonito. The Quiet Girl è simile a molti film orientali, nei quali le immagini suggeriscono spesso più delle parole. È lo sguardo della bambina che lascia intuire il suo relazionarsi con la nuova famiglia, oltre a piccoli segni disseminati dal regista. Alle espressioni della piccola fanno da controcanto le immagini del paesaggio rurale. Elogio del non detto, valorizzazione di silenzi più eloquenti delle parole, il film cela un segreto, che molto segreto non è, ma il finale riserva un’emozione che svela tutto il percorso emotivo della protagonista. Sobria la colonna sonora di Stephen Rennicks, in un film imperfetto, ma generoso e rivelatore di sentimenti spesso negletti dell’infanzia.

Before, Now & Then
Official Section – Feature Films
di Kamila Andini
Durata: 103’. Anno: 2022. Produzione: Indonesia.

Orso d’argento alla Berlinale per Laura Basuki quale migliore attrice, e Premio della giuria al Festival di Bruxelles, il film di Kamila Andini è stato calorosamente applaudito anche a Valladolid. Trentasei anni, una laurea in sociologia e media arts alla Deakin University di Melbourne, Andini, regista e sceneggiatrice, ha adattato il romanzo Jais Darga Namaku (Il mio nome è Jais Darga) di Ahda Imran, ispirato dalla vita di Raden Nana Sunani, una donna che viveva a West Java nel 1960. Libro non facile, se si considera il registro narrativo del film: pacato, lento, spesso dettato dall’accompagnamento al piano che ricorda quello dei film muti e a volte nelle mani di scenografi e costumisti, autori di eleganti cornici per scene dove sguardi e movimenti sono più eloquenti dei dialoghi.

C’è una tragedia all’inizio del film che si riverbera su tutto il racconto: il genocidio. E poi l’epurazione anticomunista, i traumi nazionali e la presa di potere del generale Suharto nel 1966. Protagonista e vittima è Nana (Happy Salma), madre di famiglia che scappa con una bambina in braccio, per sfuggire a truppe ribelli che vogliono catturarla e darla in matrimonio al loro capo. Ha visto i rivoltosi decapitare suo padre e catturare il marito, e ora fugge sfinita nella boscaglia. Si sottrae alla caccia e le si presenta l’opportunità di sposare un ricco ed anziano proprietario terriero sudanese, il signor Darga. Accolta in una splendida casa alle porte di Giacarta, Nana darà alla luce quattro figli, e vivrà nel lusso con uno stuolo di servitori. Questo, almeno, potrebbe apparire agli occhi di un estraneo.

In realtà, soffre di incubi notturni legati ai ricordi di guerra: a volte non si rende conto se sta sognando o se sta rivivendo quei drammi. Inoltre, sa benissimo che dietro all’ostentato rispetto dei vicini si nasconde invidia e disprezzo da parte di molti che la considerano un’arrivista. E non basta: suo marito ha una relazione con una bella macellaia, Ino (Laura Basuki), che gli invia regolarmente delle fettine di carne. E proprio l’incontro con lei e le successive frequentazioni le incutono nuova fiducia, ma il destino le riserva un’ultima sorpresa: il suo ex marito è vivo, è un ufficiale, e quando s’incontrano si domandano come sia stato possibile tutto quello che hanno vissuto. Lui l’ama ancora, e lei si trova davanti al dilemma se perdere tutto per tornare da lui o se restare con l’anziano marito, nelle maglie delle restrittive strutture della società patriarcale.

Già regista dei premiati The Seen and Unseen e Yuni, Kamila Andini ha realizzato un film nel quale i fatti ora narrati sono appena suggeriti. Dominano la calma e la lentezza, quasi un velo che avvolge tutto il racconto, a volte pomposo, altre malinconico, soffuso di una grazia latente. C’è anche un momento di danza, e un gioco sensuale appena accennato, oltre a calibrate intuizioni musicali.

Vasil
Official Section – Feature Films
di Avelina Prat
Durata: 93’. Anno: 2022. Produzione: Spagna, Bulgaria.

Voltaire lo chiamò Candido, e ne fece un romanzo breve, un pamphlet sull’ottimismo, che ancora oggi ha milioni di lettori. Avelina Prat, cinquantenne valenziana laureata in architettura, e con una larga attività nel mondo del cinema (autrice di corti e sceneggiatrice di una trentina di film), l’ha chiamato Vasil, e non ha dovuto neanche inventarlo. Il personaggio, o meglio la persona, entrò nella vita del padre qualche anno fa. Giovane emigrato bulgaro, campione di scacchi e di giochi di carte quali il bridge, Vasil viveva nelle strade. Fortunatamente conobbe due signore, una britannica e una spagnola, benestanti e assatanate giocatrici, che lo introdussero nel prestigioso club del bridge e chiesero ad Alfredo, architetto in pensione e padre di Avelina, di ospitarlo per un paio di giorni. Sebbene a malincuore, essendo un anziano abitudinario e solitario, il padre accettò e scoprì che l’unico legame possibile con lo sconosciuto era il gioco degli scacchi. L’ospitalità di due giorni durò due mesi. La figlia, Luisa, che non ebbe mai occasione di incontrare il forestiero, ne ebbe notizie nei rari incontri al caffè col padre, e la cosa la sorprese e l’incuriosì.

Oggi, tentando di riannodare i fili della memoria che a distanza di tempo confondono realtà e immaginazione, Avelina Prat ne ha fatto il suo lungometraggio d’esordio che lei stessa definisce tra il vissuto e la favola. Incoraggiata da Isabel Coixet, che lo avrebbe realizzato se lei non lo avesse girato, e con l’attore basco Karra Elejalde nei panni del padre e il bulgaro Ivan Barnev in quelli di Vasil, ha dato vita a un racconto incoraggiante e a tratti divertente, imperniato su un protagonista serafico e leggero, che sembra camminare senza toccare terra. Non ha trascurato, tuttavia, l’opportunità di servirsi del percorso dello straniero per denunciare guasti e ritardi delle amministrazioni locali nel rendere impossibile l’inserimento sociale di un cittadino comunitario né, tantomeno, di descrivere invidie e gelosie di persone che provocano l’isolamento dell’emigrato. Persino per Alfredo risulta difficile relazionarsi con lo sconosciuto: l’anziano architetto è metodico, meticoloso e puntuale; Vasil è onesto e leale, ma deve destreggiarsi tra le signore che lo vogliono come compagno nel gioco delle carte. Inoltre, per un breve periodo trova finanche lavoro in un ristorante, dove può esercitare l’attività di cuoco, professione a lungo svolta nel paese d’origine.

Vasil, novello Candido, è anche un personaggio misterioso, sempre sorridente e discreto, ma lascia trapelare pochissimo della sua vita e delle sue idee. Nel finale della commedia, perché di questo si tratta, lo vediamo allontanarsi dopo aver consultato una mappa, quasi saltellando alla ricerca di un nuovo mondo.

Pamfir
Official Section – Feature Films
di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk
Durata: 103’. Anno: 2022. Produzione: Ucraina, Francia, Polonia, Cile, Lussemburgo, Germania.

Forse l’esordio più applaudito alla Quinzaine di Cannes questo debutto di un quarantenne che, prima di diplomarsi alla scuola di cinema di Kiev, aveva studiato architettura e filosofia. Autore di alcuni corti premiati in festival europei, il regista dà vita a un racconto teso e movimentato che si svolge in un villaggio al confine con la Romania. Pamfir è il soprannome di Leonid, un uomo di mezz’età, robusto come un toro, che torna in Ucraina dall’Occidente per festeggiare il carnevale in famiglia. Non il nostro, ma un carnevale pagano con riti iniziatici e con fuochi che dovrebbero liberare tutti da demoni e peccati.

Il ritorno di Pamfir è una sorpresa che riempie di gioia la madre, il figlio e soprattutto la moglie che lo invita a restare. Lui, però, ha un lavoro ben remunerato in Polonia, e a volte si dedica al contrabbando, sua antica occupazione. È tornato per una breve vacanza, ma anche per rinnovare i documenti che gli permettono di muoversi all’estero. Della cosa si occupa il parroco, in un territorio dove alcuni possidenti hanno più potere delle leggi nazionali che dovrebbero governare il paese. La corruzione, largamente diffusa in tutta l’Ucraina, è il tema dominante del film, che il regista denuncia con studiati piani sequenza. E si serve di vicende personali per illustrare un universo criminale.

La fiammata di gioia per il ritorno di Pamfir si spegne quando il suo unico figlio provoca un incendio nel salone parrocchiale. I suoi documenti bruciano e lui dovrà risarcire il parroco per i danni subiti. Improvvisamente senza soldi e privo del passaporto in una contrada dove non ha più amici e dove comanda il più corrotto, ma anche il più potente e il più protetto dei personaggi locali, Pamfir non ha scelta: deve ancora una volta organizzare una spedizione di contrabbando, ma lo fa nel territorio del suo acerrimo ex concorrente, e cadrà in trappola. Pestato da un drappello di sicari, gli viene imposto di far recapitare un “pacco” in Romania dal figlio adolescente che può infilarsi nello stretto tunnel dei contrabbandieri. E poi la riappacificazione, parola di criminali!

Il regista, il cui ultimo corto Liturgy of Anti-Tank Obstacles affronta il tema dell’invasione russa, dichiara che spesso girano documentari che forniscono soltanto cifre e statistiche sulle vittime. «Se vedi una storia personale riflessa sullo schermo», dichiara, «ti rendi conto di come stanno le cose da un punto di vista soggettivo». E questa è la chiave del film, che mostra una moglie affettuosa, religiosa e osservante, che vorrebbe ricomporre la famiglia col marito al suo fianco, e lo stesso Pamfir ne sarebbe felice, ma sa fin dall’inizio di non poterselo permettere, e poi le cose peggiorano. [RENZO FEGATELLI]

The Passengers of the Night
Official Section – Feature Films
di Mikhäel Hers
Durata: 111’. Anno: 2022. Produzione: Francia.

Al suo quarto film – il più noto è Quel giorno d’estate del 2018 – Mikhäel Hers, regista parigino, fa un tuffo negli Anni ’80 per ritrovare le atmosfere della sua infanzia e adolescenza. E mette al centro del racconto Charlotte Gainsbourg nei panni di Elisabeth, madre di due adolescenti, colta nel momento critico in cui viene lasciata dal marito che va a vivere con una nuova compagna. C’è euforia a Parigi, per le imminenti elezioni che porteranno al potere Mitterrand, ma lei, che ha superato da poco un intervento per un tumore alla mammella, non ha mai lavorato e deve mantenere la famiglia, è in piena crisi. La conforta, però, l’ascolto di una trasmissione radiofonica notturna, I passeggeri della notte, e invia una lettera accorata ai suoi autori. Di rimando, riceve un invito dalla direttrice del programma, Vanda (Emmanuelle Béart). L’accoglienza è calorosa, e le viene offerto un posto per selezionare le telefonate dirette a Vanda.

La sua situazione cambia quando, oltre alle nottate al telefono, Elisabeth trova lavoro in una biblioteca. E conosce una diciottenne, Talulah, fan della trasmissione. Lontana da casa, la ragazza passa le notti all’addiaccio. Elisabeth la ospita nella camera di servizio, le presenta i figli e la famiglia si allarga. Tra la sconosciuta e il figlio, che scrive poesie e spesso salta le lezioni, nasce del tenero. La figlia, invece, si occupa di politica e presto va a dividere un appartamento con tre attiviste. Sarà un malinteso a spingere Talulah a lasciare la casa, ma ha amici che spacciano e lei stessa ha provato la droga. Il regista, che manifestamente ha cercato un equilibrio tra dramma e commedia, descrive un breve flirt di Elisabeth con un collega della radio e, soprattutto, la relazione con un lettore che da tempo le sta attorno e che finalmente riesce a dichiararsi. Inoltre, torna in scena Talulah, che una notte trovano priva di sensi davanti al portone, la riportano a casa e la curano.

Non siamo dalle parti di Robert Guédiguian. L’universo non è quello di un vecchio quartiere di Marsiglia, e non c’è l’apporto caloroso degli amici del rione. Quella di Elisabeth è una vicenda malinconica, una cronaca di solitudine in un condominio della grande metropoli, ma il regista non vuole drammatizzare. Anche se giunge notizia che il marito separato ha deciso di vendere l’appartamento e che tutti dovranno traslocare, ciononostante c’è ottimismo. I protagonisti hanno ritrovato fiducia in se stessi. Vanno spesso al cinema, conoscono altra gente e vivono l’atmosfera degli Anni ’80, diventata mitica per l’autore.

Staring at Strangers
Official Section – Feature Films
di Félix Viscarret
Durata: 107’. Anno: 2022. Produzione: Spagna, Belgio.

Al recente Festival di Sitges il catalogo conteneva numerosi titoli di film su case abitate da spiriti o da fantasmi, dimore inquietanti e spesso terrificanti, ma si trattava di variazioni su temi largamente rappresentati dal cinema. L’edizione 67 della SEMINCI di Valladolid, invece, è stata inaugurata da un film in concorso, No mires a los ojos di Félix Viscarret, dal romanzo Desde la sombra dello scrittore valenziano Juan José Millás, che presenta un’originale storia di spiriti.

Damián, uomo di mezza età, e da poco orfano, ha sempre voluto essere indipendente: guadagnarsi da vivere onestamente e non impicciarsi dei fatti degli altri. Quando il manager dell’atelier dove lavora lo chiama in direzione, ne esce umiliato e infuriato: distrugge una calcolatrice e se ne va urlando. Per sfuggire all’attenzione di un collega che lo rincorre per rincuorarlo, si nasconde su un furgone che sta trasportando un armadio. E al suo interno si sente più sicuro, ma l’armadio viene sigillato, consegnato e disposto nella camera da letto di Lucía e Fede, suoi coetanei e genitori di un’adolescente, María. Potrà andarsene il giorno seguente, quando la famiglia sarà uscita, ma l’intimità e la curiosità nate dall’ascolto delle conversazioni lo spingono a restare.

Narrato su due momenti diversi: l’ascolto nella casa e la successiva partecipazione di Damián a un programma televisivo per essere intervistato sulla strana vicenda, il film fluttua tra realtà e immaginazione. I primi giorni, l’intruso si ostina a riassettare la cucina, generando inquietudine perché Lucía afferma di non averlo fatto, e il marito le rimprovera le troppe medicine che la farebbero uscire di testa. Poi Damián scopre un diario del nonno che racconta l’abitudine di Lucía e del gemello, morto prematuramente, di nascondersi nell’armadio e di immaginarsi un’altra vita. E ora la donna, trascurata dal marito, sembra intuire la presenza di uno sconosciuto e gioirsene, rincuorata dal poter riprendere i suoi sogni d’infanzia. Ne gioisce anche l’estraneo, rinforzato nei sentimenti e spinto, in una situazione particolare, ad assumere il ruolo del padre della ragazza. Avendo assistito di nascosto alla visita di un giovane che ha violentato María e che poi la ricattava, la mattina che il giovane bussa alla porta, Damián, solo in casa, si finge suo padre. Gli dice che sa tutto e gli ingiunge di non farsi più vedere. E quando il ragazzo sembra burlarsi del suo atteggiamento, lo prende per la gola, lo sbatte al muro e gli incute tanta paura da farlo sparire. Non solo, ma quando Fede spedisce la figlia e la moglie in campagna nella casa della madre per potersi portare a letto una collega, e Damián scopre che è allergico alle punture di vespe, gli organizza un piccolo vespaio che spedisce il fedifrago all’ospedale.

Si potrebbe parlare di vendetta degli spiriti, in questo racconto svolto quasi tutto in interni, ma sempre teso e ricco di spunti, nel quale le ante di un armadio separano la vita quotidiana dai sogni. Viscarret, 47 anni, alle spalle tre film premiati, si è avvalso di attori sperimentati, Leonor Watling (Lucía), Paco León (Damián), Àlex Brendemühl (Fede), per realizzare un film che è stato considerato più interessante del romanzo che l’ha ispirato.


di Renzo Fegatelli
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