Racconti dell’età dell’oro

Cristian Mungiu, il regista rumeno che con Quattro mesi, tre settimane e due giorni vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes 2007, coordina un progetto che coinvolge altri quattro registi (Hanno Höfer, Razvan Marculerscu, Constantin Popescu, Ioana Uricaru) per raccontare la Romania di Ceauşescu con toni grotteschi e intrisi di sapiente ironia. Racconti dell’età dell’oro è composto di più storie separate, le quali – come indicano i titoli dei vari episodi – ci vengono sarcasticamente presentate come “leggende” di un’epoca che, lungi dall’essere aurea come si autodefiniva, mostra nel film le sue miserie e le sue contraddizioni. La grande storia si rivela nella quotidianità dei protagonisti, persone comuni che, in un modo o nell’altro, tirano avanti cercando ora di compiacere ora di beffare un regime opprimente, di cui i registi mostrano non tanto o non solo la tragicità, ma piuttosto l’ottusità e la meschinità. È il riso, in questo film, lo strumento di denuncia: un riso malinconico e amaro, mai liberatorio, che nasce anzitutto dalla constatazione dell’assurdità di certe perverse dinamiche del potere. E’ un mondo quasi paradossale e per certi versi ridicolo quello della provincia rumena che ci viene mostrato, dove la grandezza e la potenza di cui il regime vorrebbe fregiarsi sembrano nient’altro che una favola lontana: le uova e i maiali scarseggiano perfino a Pasqua e a Natale, si vive immersi in un clima ambiguo di perenne sospetto, e la propaganda si fa – maldestramente – a colpi di fotomontaggi sui giornali mattutini.
Nel primo episodio, tra i più riusciti e rappresentativi del film, un paesino di campagna si prepara a ricevere una visita ufficiale delle alte cariche di Partito: la comunità è in subbuglio, il sindaco freme, si dipingono striscioni e si preparano i bambini a recitare versi edificanti e patriottici. C’è perfino chi pensa di appendere della frutta sugli alberi, per ovviare all’ignoranza della natura che non sembra rendersi conto dell’importanza dell’evento. Ma la visita sarà improvvisamente annullata, o almeno così viene annunciato. Tutti allora passeranno l’intera nottata a girare su una giostra, non tanto per divertimento, ma piuttosto perché non sanno più come scendere, dato che nessuno è rimasto a terra per fermarla: anche il giostraio infatti volteggia in aria con gli altri. L’ordine era stato perentorio: bisognava salire tutti sulla giostra, e così anche lui ha ubbidito. L’alba sorprenderà i protagonisti disperati, accasciati sui loro seggiolini, le facce sbigottite e incredule di chi si è autocondannato ad una situazione incresciosa e imbarazzante. Come se non bastasse, infine una didascalia ci informa che all’inaspettato passaggio del tanto atteso corteo, tutti quanti – compreso il sindaco – si trovavano ancora sulla giostra.
Questa breve storia diventa così una parabola tragicomica che, in pochi minuti, ci parla in modo convincente delle conseguenze irreversibili dell’obbedienza cieca e assoluta, che ogni regime cerca, pretende e necessita per sopravvivere. L’applicazione letterale di un ordine che – in quanto tale – non viene messo in discussione si rivela, senza mezzi termini, come un’idiozia, e l’idiozia raramente resta senza conseguenze.
Piccoli affreschi di vita quotidiana dal sapore vagamente surreale (ma dai contenuti fin troppo concreti), gli episodi del film trovano, nel complesso, la loro cifra espressiva in uno stile asciutto, ruvido e graffiante. Col distacco permesso dal tempo trascorso, i registi rumeni scattano insomma delle istantanee ora esilaranti ora malinconiche di un paese che sembra non voler accorgersi di essere sull’orlo del baratro. Mungiu firma la sceneggiatura di tutti gli episodi, che trovano forza in una comicità sottile e raffinata del tutto assente nel film, ben più cupo e angosciante, che due anni fa gli valse la Palma d’oro. Solo l’episodio del venditore di pollame, dai toni più mesti e freddi, ne riecheggia a tratti l’atmosfera livida; ma per il resto Racconti dell’età dell’oro sceglie – con ottimi risultati – di coniugare il discorso storico con i toni di una commedia dell’assurdo che mette alla berlina argutamente le vergognose e demenziali esercitazioni della quotidianità del potere.
di Arianna Pagliara