Quando la notte

Claudia Pandolfi e Filippo Timi, protagonisti dell’ultimo film di Cristina Comencini, mettono in scena due personaggi feriti e angosciati, che scrutano vicendevolmente le loro diverse solitudini, insicuri e titubanti ma tuttavia incuriositi e affascinati l’uno dall’altra. Lui è Manfred, una guida turistica che vive in una grande baita immersa nel silenzio delle montagne. E’ stato lasciato dalla moglie e ha due bambini che vede però molto poco. La calma abituale delle sue notti solitarie e immobili viene turbata all’improvviso dal pianto continuo e insopportabile di un bambino: il piccolo Marco che, nell’appartamento al piano superiore, costringe la madre Marina a trascorrere le notti in bianco. Stressata e nervosa, la donna ha deciso di concedersi un periodo di vacanza sola con il figlio e ha preso in affitto un appartamento proprio nella baita di Manfred. Con il padrone di casa però sembra difficile persino stabilire un semplice rapporto di buon vicinato: l’uomo somiglia al paesaggio innevato e roccioso che lo circonda, aspro, freddo e misterioso. Sarà un incidente drammatico a far cadere i muri che separano i due protagonisti, in maniera definitiva, brusca e non senza dolore.
Il tema centrale di “Quando la notte” è quello della maternità, di cui vengono indagati soprattutto gli aspetti meno facili e più spinosi: l’ambiguità dei sentimenti, il senso di inadeguatezza, le paure e i dubbi; in poche parole, il timore di non riuscire a essere madre. E questo è un pregio del film e anche una scelta coraggiosa. La normalità diventa invivibile e mostruosa senza che nessuno attorno se ne accorga: in questo silenzio, in questo abisso invisibile Marina rischia di soffocare e di annientarsi.
Tutto ciò è raccontato in maniera efficace ed empatica, seppure con toni a volte un po’ troppo esasperati. A convincere meno sono invece il personaggio di Manfred e la sua storia, che sembrano risolversi in maniera un po’ troppo sbrigativa. Timi è – anche qui – un ottimo attore, ma la scelta registica che sta dietro al suo personaggio impulsivo e irascibile non funziona pienamente. I suoi atteggiamenti appaiono a volte eccessivi e le azioni poco motivate. Ed è un peccato: perché gli spunti sono interessanti, ma la messa in scena non rende loro giustizia. E lo stesso avviene per l’amore che nascerà tra i due protagonisti: qualcosa sfugge di mano alla regista, tanto che nella seconda parte lo spettatore non riesce più a credere a questo sentimento, che avrebbe voluto essere travolgente ma appare invece artificioso e forzato.
I punti di partenza ci sono tutti insomma, ma poi qualcosa si inceppa e stride nel film della Comencini. La parte iniziale, la più risolta e riuscita, offre atmosfere tese e non prive di suspance. Ma poi si approda a un territorio ibrido a metà tra noir e dramma sentimentale in cui risuonano dialoghi spesso artefatti e forzature che, più che alla recitazione un po’ caricata degli attori, sembrano imputabili a una sceneggiatura dai congegni poco oleati. Tratto dal romanzo omonimo scritto dalla stessa regista, “Quando la notte” è un’opera che finisce per non essere completamente all’altezza delle sue premesse. Forse sarebbe bastato diluire meglio gli snodi narrativi e stemperare i toni, vista anche la performance di attori espressivi e capaci e la presenza di una grandiosa, perfetta scenografia naturale: le montagne sempre incombenti, cariche di neve e brutti presagi.
di Arianna Pagliara