Quando hai 17 anni
Non è certo un segreto che André Téchiné sia uno degli autori europei più attenti ad analizzare in profondità le inquietudini adolescenziali in quella fase delicata della vita in cui si sgomita per affermare la propria personalità e per trovare a fatica un pezzo di spazio vitale nell’universo complesso degli adulti. E non è un caso che L’età acerba, forse il più alto risultato artistico raggiunto dal regista e critico francese in quasi quarant’anni di carriera, sia considerato all’unanimità una delle opere più efficaci dedicate alla descrizione di quella travagliata stagione di passaggio che va sotto il nome di adolescenza.
Come il titolo indica in maniera più che esplicita, il cuore narrativo del film presentato in concorso all’ultima berlinale è proprio l’insieme di scoperte interiori e di aspri confronti con la realtà esterna che comporta l’affacciarsi verso l’età adulta pur non essendolo ancora né a livello anagrafico né tanto meno per quel che riguarda il completamento dello sviluppo caratteriale e delle modalità relazionali (ivi incluso il territorio sdrucciolevole del sesso nelle sue molteplici sfaccettature) con cui l’individuo si rapporta ai coetanei e ai «grandi» veri e propri.
Téchiné e la co-autrice della sceneggiatura Céline Sciamma (apprezzata per copioni del livello di Tomboy e Diamante nero) si concentrano su due diciassettenni impegnati ad affrontare nella stessa classe l’ultimo anno di liceo in un paesino immerso nei paesaggi mozzafiato del parco naturale dell’Ariège nel cuore dei Pirenei francesi che con la loro aspra bellezza fanno da contraltare geografico mai passivo ai non troppo astratti furori dei due giovani protagonisti.
Per una buona mezz’ora il film li pedina con discrezione offrendo allo spettatore l’opportunità di conoscerne non solo il carattere diversamente scontroso ma anche il retroterra socio-culturale in cui hanno condotto le proprie esistenze fino a quel momento. E se questo approccio iniziale può forse dare l’impressione di essere un po’ lento e a tratti ridondante nella ripetizione meccanica delle situazioni, è innegabile che permetta nel prosieguo dello svolgersi della vicenda una più agevole comprensione delle motivazioni che stanno dietro a comportamenti altrimenti difficili da interpretare.
Figlio di una dottoressa che cura tutti senza farsi pagare e di un elicotterista in missione di guerra in Medio Oriente, Damien sembra il più allineato e integrato dei due. Bravo a scuola anche se spesso in disparte rispetto ai compagni e molto legato alla madre cui cerca di dare conforto durante le lunghe e preoccupanti assenze del marito, cela invece dentro di sé una rabbia repressa che sembra figlia dell’età difficile e che il ragazzo scarica contro il punching ball sotto gli occhi di un militare in pensione amico del padre che lo allena a modo suo ad affrontare la vita.
Tutta un’altra storia il suo compagno di classe Thomas. Di origini magrebine e figlio adottivo di una coppia di contadini che lottano per la sopravvivenza in una fattoria sperduta nel cuore delle montagne, è cupo e introverso. Anche a scuola, dove sembra che l’asperità del carattere vada a braccetto con una pervicace volontà a non avere rapporti con nessuno dei compagni e a una carenza di impegno nello studio dietro la quale né la famiglia né il personale della scuola capisce cosa si annidi.
Viste le premesse, non ci si deve stupire se tra i due sono subito scintille. Alimentati dalla «rabbia giovane» con tanto di «pugni in tasca» che li corrode dentro ma anche sospinti da un meccanismo di attrazione/repulsione che non tarderà a dare frutti inaspettati, Damien e Thomas iniziano a guardarsi in cagnesco, per poi passare dagli insulti verbali a una serie di violenti confronti fisici con scazzottate da Far West in angoli spigolosamente belli delle montagne che fanno da perfetto contraltare paesaggistico alle asprezze caratteriali dei due giovani.
E tutto forse proseguirebbe in questa direzione spigolosa e non fosse che il caso contribuisce come suo solito a dare uno scossone a una sceneggiatura forse fin troppo lenta nell’insistere sui confronti/scontri tra Damien e Thomas. La madre di quest’ultimo rimane infatti incinta dopo una serie di aborti (che avevano spinto la coppia a optare per un’adozione). Essendo una gravidanza a rischio con frequenti ricoveri, la mamma di Damien che la prende in cura suggerisce che Thomas si trasferisca temporaneamente a casa sua in modo da non dover esserle di peso e anche di non dover fare ogni giorno quattro ore di pendolarismo tra marce nella neve e tratti in bus per arrivare a scuola.
L’approdo di Thomas a casa dell’amico/nemico fa da detonatore alla tempesta di sentimenti e passioni che fino a quel momento ha prodotto solo tuoni minacciosi. Dopo un’iniziale e inevitabile insofferenza al dover vivere sotto lo stesso tetto, i due lasciano che lentamente prenda corpo ciò che prima poteva essere solo una pulsione inammissibile a livello razionale e che invece si palesa come la vera natura di due differenti approcci alla propria «diversità» sessuale rispetto al resto del branco.
Concepito come un vero e proprio romanzo di formazione alla vita adulta e alla (omo)sessualità e scandito cronologicamente dai tre trimestri dell’anno scolastico, quest’ultimo lavoro dell’ormai settantacinquenne Téchiné conferma la sua perizia impareggiabile nello scandaglio psicologico dell’interiorità ondivaga degli adolescenti ma è anche una specie di summa di tanti temi a lui cari che erano già il perno motore del capolavoro L’Età acerba (di cui Quando si ha 17 anni è una specie di remake dimidiato che ne ripropone un po’ meno efficacemente molti scenari narrativi nonché precisi contesti ambientali quali la scuola e l’incubo della guerra che fa da inquietante basso continuo all’intera vicenda).
Ma gli anni passano per tutti e anche Téchiné mostra oggi di essere meno lucido di quanto non fosse vent’anni fa. I suoi ragazzi — tanto i due protagonisti quanto i compagni di scuola da cui sono circondati — sono messi a fuoco in maniera meno compiuta e realistica dei quattro personaggi principali de L’Età acerba. Sembrano cioè degli adulti travestiti da giovani con fibrillazioni interiori troppo complesse e sfaccettate per essere figlie di quella rabbia giovane che le dovrebbe alimentare. Prova ne sia che in quasi due ore di film si vede solo per un attimo un telefonino e nessuno dei due ragazzi mostra mai tic e nevrosi comportamentali tipiche degli adolescenti dei giorni nostri.
Ma con questo non si vuol certo dire che il ritratto a tutto tondo della scoperta del proprio io da parte di due giovani vite alla ricerca di un ubi consistam nel mondo sia meno efficace. Tutt’altro. A Téchiné non interessa un ritratto generazionale quanto piuttosto l’immersione nel cuore di tenebra di due identità in subbuglio (soprattutto sessuale). E non è infatti un caso che, una volta portati i suoi protagonisti a riconoscere la reciproca attrazione fino a quel momento celata da uno spesso strato di aggressività mascolina, il film indugi in maniera quasi morbosa sulla rappresentazione ostentata dei loro rapporti fisici.
Rappresentazione che probabilmente avrebbe avuto ben altro impatto se fosse stata invece solo accennata anziché mostrata con un’inefficace volontà di scioccare un pubblico ormai avvezzo a immagini ben più forti di quelle su cui Téchiné indugia soffermandosi con eccesso di insistenza su particolari anatomici. Un aspetto questo che rischia di inquinare il tratto di una sceneggiatura fino a quel momento maiuscola nel dosare la lenta presentazione dei caratteri in gioco fino alla drammatica scoperta di una sessualità repressa e canalizzata in semplici esplosioni di violenza fisica.
E lo stesso si potrebbe dire di tutta l’ultima mezz’ora del film, nella quale il baricentro dell’azione si sposta inaspettatamente dalla descrizione degli effetti deflagranti che il coming out reciproco ha causato nei due giovani all’elaborazione del lutto da parte della madre di Damien, costretta a piangere la perdita del marito morto all’improvviso in un’azione di guerra a migliaia di chilometri di distanza dalla quiete apparente delle vette pirenaiche.
Al punto che quando nel finale Damien e Thomas si baciano con passione suggellando in quell’abbraccio due ore di passione, l’effetto di questa scena madre è del tutto depotenziato perché lo spettatore ha ormai perso interesse per la tormentata storia dei due giovani concentrato com’è stato per troppi minuti sulla devastazione interiore della dottoressa.
Trama
Damien e Thomas frequentano la stessa scuola in un piccolo centro delle montagne nel sud-ovest della Francia. Damien è figlio di una dottoressa e di un pilota di caccia in missione di guerra. Tom è invece di origini magrebine e vive coi genitori adottivi in una fattoria sperduta nel nulla. Pur potendo essere amici, i due sono sempre in aperto contrasto arrivando spesso anche alle mani. Quando la madre adottiva di Thomas, dopo diversi aborti, riesce a rimanere di nuovo incinta, avendo una gravidanza a rischio e non potendo stare dietro alla sua famiglia, viene invitata dalla madre di Damien a permetterle di accogliere a casa propria il figlio. Costretti così a vivere sotto lo stesso tetto, col passare dei mesi i due ragazzi scoprono che dietro la fiera contrapposizione che li divide si annida invece un sentimento di fortissima attrazione reciproca.
di Guido Reverdito