Promised Land
Steve Butler (Matt Damon) lavora per conto di una compagnia del settore energetico, la Global, che lo incarica di convincere gli abitanti di una zona rurale a vendere i loro terreni per l’estrazione di gas naturale. Insieme alla collega Sue (Frances McDormand) trascorre così alcuni giorni in una piccola e tranquilla cittadina – dove si invaghisce di una graziosa insegnante – riuscendo però a strappare ben pochi consensi agli agricoltori. La trivellazione dei terreni infatti rischia di causare danni ambientali di non poco conto, inquinando quelle terre che per i proprietari delle fattorie sono l’unica ricchezza. E, sebbene il protagonista tenti in un primo tempo di tacere questi rischi nell’interesse della Global, non tutti sono così ingenui da cedere alle sue lusinghe. Nel frattempo arriva in paese Dustin (John Krasinski), attivista di un’associazione ambientalista, che fa del suo meglio per mettere i bastoni tra le ruote alla Global.
Al centro del film c’è la tensione interiore del protagonista, scisso tra la fedeltà ai valori di una società forse al tramonto (onestà, rispetto, amore per la propria terra) e il materialismo imperante di un mondo (nuovo?) dove le uniche ragioni che contano sono puramente economiche. L’efficace interpretazione degli attori è forse il punto di forza della messa in scena: se Matt Damon recita nel ruolo di un personaggio che sembra calzargli a pennello, Frances McDormand gli fa da controcanto con il suo atteggiamento più distaccato e disincantato. A suo modo, Promised Land racconta una redenzione, una messa in discussione graduale ma sostanziale del proprio modo di pensare da parte del protagonista, che ritrova le sue vere radici (anche lui è cresciuto in una piccola cittadina di provincia) e con esse la capacità di essere coraggioso e leale.
Gus Van Sant è un autore piuttosto versatile che ha alternato pellicole costruite con una solidità più tradizionale (Will Hunting genio ribelle, Milk) ad altre che preferivano disciogliere o frammentare la narrazione a livelli anche estremi (Last Days, Elephant). Promised Land non è tuttavia solamente diverso da quel cinema di Van Sant fatto di atmosfere dilatate e sospese tanto apprezzato dalla critica, ma sembra rivelare a ben guardare una certa distanza, per così dire, tra l’autore e l’opera. La ragione di ciò potrebbe derivare dal fatto che il lungometraggio è stato scritto non dal regista ma dai due attori che lo interpretano – Matt Damon e John Krasinski – ed era in un primo tempo destinato ad essere il film di debutto dello stesso Matt Damon dietro la macchina da presa. Il risultato è un’opera realizzata si con cura e attenzione, ma incapace di quell’incisività che è lecito aspettarsi dal regista americano. Il limite di Promised Land, peraltro disseminato di bei paesaggi e sostenuto come detto sopra da ottime interpretazioni, sta insomma proprio nella prevedibilità della sceneggiatura, che finisce per essere in un certo senso “restrittiva” per un regista che ha una sua riconosciuta autorialità. Al di là di ciò, resta comunque un credibile e interessante ritratto di quell’America rurale forse oggi poco rappresentata al cinema, animato da una giusta volontà di denuncia di certe dinamiche sociali e politiche cariche di cinismo e ipocrisia; ha il merito, inoltre, di richiamare l’attenzione su un problema concreto e reale – quello dei danni ambientali causati dai metodi di estrazione del gas naturale – poco dibattuto, ma indagato a fondo in un altro film americano: il documentario Gasland, realizzato nel 2011 da Josh Fox.
Trama
Steve lavora per conto della Global, una compagnia del settore energetico. Insieme alla collega Sue arriva in un piccolo centro agricolo dove cerca di convincere la gente del posto a vendere i propri terreni per l’estrazione di gas naturale, operazione in realtà non esente da gravi rischi ambientali. Gli ostacoli e gli imprevisti che troverà lungo il suo percorso interrogheranno la sua coscienza e faranno vacillare le sue certezze.
di Arianna Pagliara