Predestination

Il cinema internazionale degli ultimi trent’anni vanta un numero così alto di vicende basate sui viaggi nei tempo che ormai questo tipo di tematica ha finito col costituire un sottogenere autonomo e a sé state all’interno del più ampio contenitore di quella fantascienza che disdegna i baracconi degli effetti speciali per privilegiare i giochi della mente e i puzzle cerebrali che lo spettatore (vittima sacrificale di queste piacevoli torture narrative) viene chiamato a ricomporre col procedere della pellicola.
Predestination rientra a pieno titolo in questo ormai ricco repertorio di rebus mentali in cui ciò che più conta sono le contorsioni della sceneggiatura e la capacità di gestire la storia in modo che sia costantemente assistita da colpi di scena serviti al momento giusto e scioccanti sorprese sfruttate ad arte per capovolgere tutto ciò che fino a un certo momento era parso essere una labile certezza cui appigliarsi per non perdersi nel labirinto del racconto.
A scrivere e dirigere Predestination sono i fratelli Michael e Peter Spierig, trentanovenni gemelli eterozigoti australiani di origini tedesche che trafficano con la videocamera da quando portavano i pantaloni corti e che nel 2003, con Undead, hanno iniziato a farsi apprezzare dai cultori dell’horror casereccio ma fatto con qualità, imponendosi poi all’attenzione di quella stessa fetta di aficionados ma anche del grande pubblico con il ben più ambizioso e acclamato Daybreakers – L’ultimo vampiro.
Se è vero che non è mai professionalmente corretto soffermarsi più di tanto sulla trama di un film che si sta recensendo cercando invece di privilegiare altri e più rilevanti aspetti cinematografici del prodotto che si analizza, mai come in questo caso sarebbe disonesto e ai limiti della cattiveria rivelare più di tanto della vicenda intorno alla quale ruota il rebus per immagini che i fratelli Spierig allestiscono (fratelli Spierig che, sulla scorta di altre fratellanze di successo al cinema hanno iniziato a farsi chiamare «The Spierig Brothers» accantonando i nomi di battesimo, inutili appendici anagrafiche prive di appeal nel mondo della settima arte).
Basti quindi sapere che un redivivo Ethan Hawke (già interprete del menzionato Daybreakers e quindi recidivo nel suo proficuo rapporto con il duo Spierig) veste i panni di un insolito Agente Temporale, membro di una bizzarra agenzia (forse) governativa che cerca di prevenire il crimine sguinzagliando i propri uomini in giro per il tempo per evitare così che i responsabili di orrori destinati ad accadere nel futuro vengano bloccati sul nascere nel passato. Quando la pensione è ormai alle porte — assai prematura se paragonata ai normali standard anche se ciò non deve stupire vista la natura del lavoro e il logorio psicofisico dovuto al continuo viavai temporale —, al navigato agente viene affidata un’ultima e assai impegnativa missione. Ovvero impedire che un terrorista chiamato Fizzle Bomber anticipi l’11 settembre, seminando migliaia di morti nella New York del 1975.
Durante i vorticosi spostamenti nello spazio e nel tempo che l’Agente deve compiere per tentare di portare a compimento la missione impossibile e impedire il massacro newyorkese, nel bar nel quale lavora come fiacca copertura della propria identità di paladino del Bene in sella alla macchina del tempo ha modo di incontrare uno strano personaggio, una sorta di transgender ante litteram che, grazie al racconto in flash back della travagliata esistenza di orfano cresciuto e vissuto all’insegna della stravaganza biologica che gli è toccata, permette a lui (ma soprattutto al disorientato spettatore) di ricomporre quasi tutte le tessere del puzzle.
Per arrivare a un finale pirotecnico, nel quale una serie di agnizioni narrative sparate a raffica strappa quegli «oh» di meraviglia che anche lo spettatore più ferrato in materia di cinema sui viaggi nel tempo e sulle schizofrenie di personaggi dalle molteplici personalità si lascerà inevitabilmente scappare una volta arrivato a disvelare la reale identità dei due principali personaggi che polarizzano l’intero film su un dualismo da sdoppiamento esasperato. Che di fatto ne è poi la chiave stessa di lettura oltre che l’asse intorno al quale si avvitano le spericolate peripezie narrative inventate dai fratelli Spierig.
All’origine di queste scorribande narrative c’è il racconto All You Zombies di Robert Anson Heinlein — uno dei grandi patriarchi della fantascienza d’impegno intellettuale a stelle e strisce —, pubblicato nel 1959 ed edito in Italia da Lerici Editore nel 1965 col titolo Tutti i miei fantasmi (ma anche noto come Voi zombie). Partendo da questo intrigante testo sullo sdoppiamento dell’identità e sul viaggio nel tempo fatto però all’interno del subconscio di un individuo dalla complessa personalità, più che un film vero e proprio su queste pur complesse tematiche i fratelli Spierig hanno messo insieme una sorta di monumentale (pur nei suoi 97 minuti) bignami di citazioni di infiniti titoli che avessero maggiori o minori attinenze con questo tipo di sottogenere della fantascienza.
Se è quindi impossibile prescindere da un caposaldo del viaggio nel tempo quale la trilogia di Ritorno al futuro, Predestination trascina nel calderone del suo frullato citazionista titoli che solo apparentemente sembrerebbero avere tratti in comune ma che, di fatto, si rivelano più che adatti alla causa nell’offrire spunti eccellenti per la (de)strutturazione di una trama tutta colpi di scena e continui giochi di prestigio narrativi.
Ed ecco quindi che nella sfilata di titoli cui la premiata ditta dei fratelli Spierig ha attinto saccheggiandone idee in varia misura per farle diventare materia viva del proprio puzzle è difficile non riconoscere Inception, Essere John Malcovich, The Fight Club, Shutter Island e anche Face Off per il teatrino delle personalità multiple, Memento, Looper, la trilogia di Matrix e il più datato Allucinazione perversa per la ricostruzione a ritroso di inspiegabili realtà con cui si deve confrontare l’eroe della storia. Un elenco che potrebbe diventare anche molto più lungo se solo ci si mettesse a dissezionare la sceneggiatura per stanare l’intrico di citazioni che la affolla.
Con questo non si pensi però che Predestination sia soltanto un condensato di citazioni fatte in maniera fine e matura di decine di altri titoli dedicati ad argomenti analoghi a quelli intorno al quale ruota il film. Tutt’altro. Il film non nasconde ambizioni ben più alte. Prova ne sia che per quasi metà della sua non eccessiva durata a dominare la scena è la ricostruzione dettagliata a ritroso della vita difficile del misterioso personaggio che l’Agente Ethan Hawke incontra nel bar dove lavora. Ricostruzione che regala ai due fratelli anche la chance di parlare di argomenti tabù quali l’androginia e il transgenderismo, proiettando le pulsioni dell’America di oggi in un passato relativamente prossimo e credibile.
Ma una prova ancora più decisiva circa la vera natura intima di Predestination (che va letto come una riflessione sulla poliedricità della personalità di ciascuno di noi) è data dal fatto che il tema dei viaggi nel tempo — strombazzato nel trailer del film come il suo unico motivo di attrazione — non viene trattato facendo ricorso a effetti spettacolari o a costosi trucchi in CGI: dovendosi adeguare a un budget ridotto, gli Spierig fanno di necessità virtù riducendo gli sfarfallamenti nel tempo all’azione di una custodia di violino con un congegno simile a certi lucchetti americani ad anelli numerici col quale l’Agente decide in che anno trasferire il proprio corpo.
Ciò che conta davvero è la forza del racconto. Gli effetti speciali sono confinati alla capacità che la sceneggiatura ha di sbalordire, riuscendo a inventarsi margini di credibilità anche in quei molti passaggi nei quali la totale assenza di logica narrativa potrebbe dare l’impressione di essere presi in giro da fuochi d’artificio degni di un poemetto del tardo barocco. Il tutto senza però che la pirotecnia di trovate e l’incredibile agnizione finale sembrino mai essere i soli assi portanti del film.
Che di certo farà la gioia di quanti amano le costruzioni tanto care a certa cerebralità scrittoria di Christopher Nolan o di Charlie Kaufman (i cui Il ladro di orchidee e Synecdoche, New York vengono qui evocati a vario titolo tra i moltissimi altri film cui Predestination strizza l’occhio), eletti a numi tutelari di un certo modo di fare cinema di fantascienza tutta testa e poca cartapesta digitale, usandone le caratteristiche di genere per mettere alle corde lo spettatore che fino alla fine della scorribanda non è mai certo di capire in toto l’intima natura di quanto sta vedendo.
Da segnalare, accanto al ritorno di Ethan Hawke — antistar che non ama Hollywood ma che proprio per questo ha privato il pubblico di una presenza che forse sarebbe stata più costante se le sue scelte in materia di pellicole da interpretare fossero state meno elitarie e sibilline) — a un ruolo da protagonista assoluto, la giovane Sarah Snooke: alle prese con il difficile personaggio del transgender Jane/John poi Madre Nubile dopo aver preso parte al recente These final Hours – 12 ore alla fine (altro titolo australiano di fantascienza apocalittica fatta con intelligenza), rischia quasi di rubargli la scena in una battaglia senza esclusione di colpi in questo valzer di schizofrenia che è Predestination.
Trama
Dopo anni di integerrimo servizio, giunto all’ultima missione della carriera un Agente Temporale viene spedito avanti e indietro nel tempo per impedire che un pericoloso terrorista devasti nel 1975 New York con un attentato al cui confronto anche le Torri Gemelle sembrerebbero una cosa da poco. Ma nel corso di questa faticosa e cerebrale avventura l’Agente incontra un misterioso personaggio dal sesso indefinito, destinato in qualche modo a rendere ancora più unico quest’ultimo incarico lavorativo e a permettergli di trovare le risposte a complessi quesiti esistenziali rimasti irrisolti per tutta la vita.
di Redazione