Povere creature!

La recensione di Povere creature!, di Yorgos Lanthimos, a cura di Joana Fresu De Azevedo.

Sono una festa di cambiamenti. Così Bella/Emma Stone racconta il turbinio di emozioni che prova nel momento in cui inizia a percepire compiutamente il proprio corpo e la gioia che è in grado di farle provare. Yorgos Lanthimos rende questo passaggio di consapevolezza evidente con la scelta di rappresentare la parte iniziale dello crescita di Bella, in cui il coordinamento e la parola sono ancora ad uno stato embrionale, in cui la protagonista viene descritta da Max come una meravigliosa ritardata con immagini in bianco e nero. Quando, invece, Bella inizia a comprendere come darsi piacere e ha il suo primo rapporto sessuale con Duncan, allora la scena diventa un’esplosione di colori: gli stessi che riempiono il corpo e i sensi di Bella.

In un tempo e una società in cui non solo la convenzione sociale comanda sulla realizzazione intima dell’individuo, Bella non ha freni inibitori. La fanciullezza con cui vive l’esaltazione data a quei salti furibondi che impara a fare con Duncan durante la loro fuga di passione sono una voglia di rivendicare il suo diritto al piacere. A viverlo senza vergogna. Non è (tanto) una lotta tra imposizione di regole maschili e maschilisti contro una volontà di indipendenza e determinazione di una donna. Quanto il voler affermare che solo nella libertà – sessuale, sentimentale, emotiva – si possa trovare la piena realizzazione dell’individuo.

Bella è disposta a perdonare tutti gli uomini che le hanno fatto provare dolore. Lo fa con il suo ideatore, al quale chiede solo di non ricevere più menzogne sul proprio passato; lo fa con Duncan, che ha abusato della sua debolezza mentale per un puro appagamento sessuale, ma che lei sopporta illudendosi che le cose possano andare meglio; lo fa con l’ex marito, non compiendo la sua vendetta ma dando al Generale la possibilità di vivere in un corpo che davvero possa rappresentarlo; lo fa con Max, che accetterà di sposare solo laddove lui sappia dimostrare di accettarla per quello che è.

Creando un mondo visionario, fatto dei esplosione di colori e di scene profondamente esplicite per liberare il suo personaggio (e lo spettatore) dallo stigma che ruota attorno a chi si abbandona al piacere sessuale, Lanthimos porta a Venezia lo scandalo di una donna che accetta gli uomini. A patto che loro siano in grado di accettare lei. In caso contrario, God aveva insegnato come unire in altro modo le povere creature del mondo. E lo spettatore viene catapultato in un mondo in cui tutto sembra possibile. Basta diventare una festa di cambiamenti.


di Joana Fresu De Azevedo
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