Posso entrare? An ode to Naples

La recensione di Posso entrare? An Ode to Naples, di Trudie Styler, a cura di Ignazio Senatore.

Non c’è nessuna altra città al mondo che attiri l’interesse di cineasti di tutto il mondo come Napoli. A dirigere l’ennesimo documentario sull’ultima città antica, dopo Babilonia, come la definì Curzio Malaparte, è Trudie Styler, artista britannica, più nota come moglie di Sting. Il titolo Posso entrare? An ode to Naples è già indicativo della poetica che l’attraversa. Quel “Posso entrare?” sembra indicare la curiosità della regista che, in punta di piedi, s’aggira per la città, intervistando gente comune; chi vende castagne o limonate e chi confeziona guanti, sin da quando era bambina.

Non potevano mancare gli artisti. Clemetino introduce il doc con il suo evocativo brano Neapolis; Lello Esposito mostra le sue creazioni che hanno come ispirazione Pulcinella; Jorit, uno degli street artist più famosi al mondo, racconta come sia riuscito a realizzare il sogno di dipingere dei murales giganteschi con i volti di Maradona e Che Guevara. Ma, sottotraccia, la regista di Birmingham sembra chiedersi come mai l’unica città italiana che sia riuscita a cacciare i tedeschi, prima dell’arrivo degli Alleati, immersa nella bellezza di un paesaggio mozzafiato, meta di musicisti come Wagner, (che compose all’ombra del Vesuvio il Parsifal), scrittori come Petrarca, Boccaccio, Goethe, e pittori come Giotto, inesauribile fucina di talenti in tutti i campi artistici, non sia riuscita a liberarsi dalla morsa mortale della camorra.

Styler s’aggira dalla Sanità alle periferie e intervista Francesco Di Leva, che racconta come abbia trasformato una palestra abbandonata di San Giovanni a Teduccio, nel Teatro Nest. Non mancano i momenti toccanti. Alessandra Clemente, già vicesindaco della giunta De Magistris, rievoca l’uccisione in strada della madre trentanovenne, vittima incolpevole di un regolamento di conti tra bande di camorristi. Roberto Saviano, per la prima volta, si mette a nudo e, abbandonato il ruolo di eroe anticamorra, confessa che se potesse, ritornerebbe indietro. Non solo. Lo scrittore, in maniera critica, cerca di difendersi dagli attacchi di chi lo ha contestato e criticato in questi anni, accusandolo di essersi arricchito, gettando fango su Napoli.

Con un velo di malinconia, infine, Saviano confessa che, piuttosto che vivere sotto scorta da quindi anni, sarebbe stato meglio se fosse stato ucciso dalla camorra. Un doc, nè oleografico, né convenzionale, che non giudica, non punta il dito contro chi ha violentata e umiliato una città che non ha eguali al mondo. Ad arricchire, fino a diventare un vero punto di forza del doc, i bellissimi filmati di repertorio. Styler compone, nel complesso, un’ode che, come evoca il titolo inglese del doc, mutuato da una poesia di Shelley, dedicata a Partenope, città che l’ha stregata e rapita.


di Ignazio Senatore
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