Piccolo corpo

La recensione di Emanuele Rauco e la rassegna stampa a cura di Francesco Grieco per "Piccolo corpo", Film della Critica per l'SNCCI.

Piccolo corpo (Laura Samani)
Il logo dei Film della Critica SNCCI

Piccolo corpo di Laura Samani, distribuito da Nefertiti Film, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) con la seguente motivazione:

«Concretamente materico e insieme altamente spirituale, la regista fa leva sulla tradizione pittorica per restituire una dimensione ancestrale ed eterna, raccontando il legame materno come una forza propulsiva incapace di accettazione dell’umana finitezza. Un’esplorazione del femminile nelle sue forme più estreme attraverso un linguaggio cinematografico irriducibilmente vitale che individua nel corpo il suo alfabeto».

La recensione
di Emanuele Rauco

C’è una via orale che sta arricchendo il cinema italiano degli ultimi anni, una strada che parte dai racconti popolari nascosti nel folklore, nelle tradizioni, negli usi di un passato non così arcaico, e che arriva a noi trasformato in immagini antiche, quasi futuribili. Da Michelangelo Frammartino, che ormai ha raggiunto uno status altissimo, ad Alice Rohrwacher fino ad Alberto Fasulo (che produce), la tradizione di Piavoli e Olmi si è mescolata con un’idea del racconto cinematografico come viaggio verso un altrove, verso una diversa dimensione dell’immagine e del luogo dell’azione.

Dopo Re Granchio di Rigo de Righi e Zoppis, un altro esordio nel lungometraggio ha intrapreso questa via: è Piccolo corpo, il film di Laura Samani che ha vinto il David di Donatello come migliore opera prima. Qui, come nel film citato poco sopra, lo spunto per l’avventura estetica è dato dall’avventura fisica. All’inizio del secolo scorso, Agata (Celeste Cescutti, una di quelle scoperte che fanno chiedere dove fosse stata finora) partorisce un bimbo nato morto, che quindi non può ricevere il battesimo e riposerà nel limbo; per consentire all’anima del feto di andare in paradiso, la ragazza comincia un viaggio per raggiungere un prete capace di rianimare i corpi per il tempo di un respiro e del battesimo.

Il limbo come nonluogo dell’anima diventa invece lo spazio estetico che il film decide di abitare, decidendo di affrontarlo con la stessa tempra, la stessa fierezza della sua protagonista: ciò che separa il paradiso e l’inferno, la vita e la morte, diventa nello sguardo di Samani e dei suoi sceneggiatori Marco Borromei ed Elisa Dondi il cammino per arrivare all’inesplorato, per congiungere l’intimità del racconto spirituale alla natura epica delle immagini, la concretezza della natura e del rapporto che con essa avevano i nostri avi all’astrazione dei concetti, come l’anima, che pure a quella natura si legavano. Quel piccolo corpo per cui Agata compie la sua impresa è la forma fisica che assume il percorso, la personificazione di un dolore e della lotta per superarlo.

Samani compie quel viaggio parallelamente alla sua protagonista, gode di ogni frammento dei luoghi che percorre, li ama e guarda come fossero la Nuova Zelanda di Peter Jackson, li esplora con quella fame di inaspettato che rende vivo il cinema di Herzog e trasmette questo amore e questa fame grazie al lavoro sull’immagine (curato da Mitja Ličen) che coerentemente lega il senso tangibile della pellicola, la densità calda della sua grana e dei suoi colori con l’immaterialità fredda del digitale. Piccolo corpo è un grande film epico covato nel rifugio di una toccante storia di madri, è il viaggio di un popolo condensato nell’epopea di una donna, uno dei migliori film europei degli ultimi anni, in grado di lavorare sui racconti di altri tempi, sulla via delle parole tramite la forza dello sguardo, la cura materna delle immagini.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Francesco Grieco)

Accolto positivamente dalla stampa, senza alcuna perplessità, come scrive Roberto Nepoti sulla Repubblica «il debutto della triestina Laura Samani è un piccolo grande film: piccolo per budget (ma coprodotto da Italia, Francia e Slovenia), grande per il respiro epico che prende lungo la via». Aggiunge Paola Casella su Mymovies, «la cinepresa della regista e sceneggiatrice (con Marco Borromei ed Elisa Dondi) asseconda Agata nel suo peregrinare risoluto, e le sue inquadrature sono imbevute di un gusto pittorico e di una tradizione cinematografica (soprattutto quella di Ermanno Olmi) profondamente, radicalmente italiani». «La stessa Italia ancestrale e folklorica da condividere con il contemporaneo Re Granchio, girando però negli stessi boschi già set dello splendido I tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin per declinarla nuovamente in quel Triveneto senza tempo già esplorato tanto da Alberto Fasulo con Menocchio, dal quale la regista sembra quasi voler riprendere anche la macchina a mano e la fotografia pittorica in luce naturale, quanto in maniera del tutto differente dall’Amir Naderi di Monte» (Marco Romagna su Cinelapsus).

Per Beatrice Fiorentino, sul Manifesto, «il plus di Piccolo corpo, però, è in una “Questione femminile” (e anche, come si vedrà, di identità di genere) affrontata senza ideologie, dogmi, mode o astuzie di sorta. Il viaggio di Agata, infatti, che ha dato alla luce una bimba morta, è un percorso di elaborazione del lutto ma anche di ostinata autodeterminazione o, come si direbbe oggi, un esempio di “female empowerment”». Come spiega Francesco Ruzzier sul sito di Cineforum, «la macchina da presa segue a distanza ravvicinata il cammino della protagonista, quasi a volerne testimoniare la tenacia, la convinzione e la determinazione. La segue in maniera emotivamente coinvolta, prendendo quasi per mano lo spettatore e invitandolo a osservare e a scavare sotto alla superficie delle cose». Secondo Massimo Causo, su Duels, «l’approccio concettuale e visivo tiene insieme il rigore della materia e la fluidità dello spirito, elaborando con sensibilità uno scenario sospeso tra acqua e terra, tra tempo storico e astrazione narrativa. I cromatismi stemperati garantiti dalla notevolissima fotografia di Mitja Ličen contribuiscono non poco alla resa empatica del film, che si muove con coraggio su territori sia visivi che concettuali di confine».

La difficoltà di definire in maniera univoca un film così originale può solo tradursi in un elenco: per Luca Pacilio sugli Spietati Piccolo corpo è «un road movie contaminato col racconto fantastico e mitologico, un romanzo d’avventura che narra di una “missione impossibile”, una favola gotica e “grimmiana” in cui la religione, come emanazione magica, si muove in una dimensione ibrida, tra incantesimo e superstizione». Invece secondo il parere di Gabriele Niola su BadTaste, «Piccolo corpo è a tutti gli effetti il nostro The Witch (al netto del fatto che non è un horror), cioè un film che spoglia il fantastico di una messa in scena barocca e lo àncora a terra, lo aggancia in un realismo che trova l’immaginazione sfrenata e l’evocazione fantastica nei vari paesaggi, nei falsi colori (della color correction) e nelle immagini che trasformano il reale in mitologico».

In sostanza, sintetizza Max Borg su Movieplayer, la regista «costruisce un universo verosimile e al contempo abitato dal fantastico, dove la precisione estetica si sposa con un’ambizione creativa che non disdegna l’esplorazione degli stilemi di genere». Ma il film non richiama solo il cinema di genere, basterebbe leggere Giona A. Nazzaro su FilmTv per capirlo: «Laura Samani, con un tocco leggerissimo, evoca i numi tutelari del modernismo senza mai indulgere in alcuna leziosità formale o tentazione didascalica». Concludendo, non è il “solito” film italiano, ma un’opera che «non ha paura delle notti buie, non ha timore di affrontare un cunicolo dal quale nessuno è uscito vivo, e si arrischia con gran coraggio a sfidare il naturalismo, e la supposta oggettività del reale» (Raffaele Meale su Quinlan).


di Redazione
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