Orion e il buio

La recensione di Orion e il buio, di Sean Charmatz, a cura di Guido Reverdito.

C’è paura e paura. Lo sa bene Orion, un ragazzino di 11 anni che vive ossessionato da una lista apparentemente infinita di ansie e paure irrazionali, che vanno dai bulli all’acqua dell’oceano, dalle radiazioni dei cellulari ai clown che nascondono truci personalità criminali, ma anche dalla caduta da edifici alti all’idea di poter essere rifiutato dalla compagna di classe per cui ha una cotta tremenda. In questa lunga sequela la parte del leone la fa però il buio, che per Orion rappresenta il nemico numero uno quando la luce si spegne e rimane da solo nella sua stanzetta.

Una notte – mentre il quartiere è in balìa di un improvviso blackout e la fobia notturna di Orion raggiunge picchi inimmaginabili -, a materializzarglisi davanti agli occhi è il Buio stesso (scritto con la B maiuscola in quanto personaggio coprotagonista a tutti gli effetti). Deciso a fargli cambiare opinione e a non essere spaventato dalla sua presenza, il Buio trascina Orion in un viaggio coloratissimo e surreale di 24 ore durante il quale ha occasione non solo di fargli conoscere i colleghi con cui anima a vario titolo le notti degli umani (e cioè Sonno, Insonnia, Silenzio, Rumori Inspiegabili e Sogni D’oro), ma soprattutto di mostrargli il ruolo fondamentale che le tenebre hanno negli equilibri precari della vita sulla Terra.

Esordio alla regia di Sean Charmatz, questo prodotto targato DreamWorks (tratto dal libro omonimo di Emma Yarlett) e passato da noi direttamente su Netflix dopo l’uscita nelle sale americane è pensato principalmente per un pubblico da scuole elementari. Cui si sforza di veicolare importanti messaggi pedagogici di valenza generale ma allo stesso tempo in linea con i tempi in cui viviamo: ovvero non solo la ricetta per vincere la più atavica e diffusa delle paure (trasformando in alleato un nemico imbattibile), ma anche la percezione che gli altri hanno di noi, la ricerca della propria vera identità e l’immagine che proiettiamo di noi stessi all’esterno senza però il timore di essere giudicati.

Ma se è vero che questo viaggio movimentatissimo nei territori più sbrigliati della fantasia parla essenzialmente a quella specifica fetta di spettatori che ha l’intento di rassicurare con un approccio scopertamente pedagogico, non può non essere una sorpresa lo scoprire che l’autore dello script basato sul romanzo che dà il titolo al film è Charlie Kaufman. Quel Charlie Kaufman. Ovvero l’autore di sceneggiature super cerebrali (Essere John Malkovich, Human Nature, Il ladro di orchidee, Confessioni di una mente pericolosa, Se mi lasci ti cancello, e Anomalisa) rese uniche proprio dal portare alle estreme conseguenze le scorribande narrative e i viaggi allucinati della mente. Componente questa che, insieme al fitto reticolo di citazioni interne e riferimenti più o meno diretti a titoli di culto del catalogo Pixar (Dalla saga di Toy Story a Monsters & Co e Inside Out giusto per citarne alcuni a braccio), si ritrova puntuale anche nella struttura della sceneggiatura di questo Orion e il Buio. Specie nella seconda parte, là dove Kaufman allestisce un gioco di scatole nelle scatole continuando a disorientare lo spettatore sul chi sta raccontando la storia a chi. Per rendere così il tutto godibile anche per chi paura del buio non ce l’ha più, ma ha bisogno di stimoli accessori da narrazione complessa e articolata per convincersi di non considerare l’intera operazione solo come un esercizio di intrattenimento per spettatori in erba.


di Guido Reverdito
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