Oppenheimer
Le recensioni di Oppenheimer, di Christopher Nolan, a cura di Arianna Vietina eMarco Lombardi.
La recensione
di Arianna Vietina
Inaspettatamente, Nolan ha deciso di realizzare un film normale. Non c’è da spaventarsi di fronte alle tre ore di durata o da farsi condizionare rispetto alle sfide poste dai film precedenti. A dispetto della sua filmografia, contraddistinta da un interesse la rappresentazione del tempo in maniera non convenzionale, con conseguente spaesamento dello spettatore, qui siamo di fronte a un film decisamente più lineare, una pausa dalle sue cervellotiche composizioni culminate in Tenet.
Quindi il pubblico che deciderà di dargli una possibilità (come sta succedendo dove il film è uscito già da un mese) si troverà davanti un oggetto avvincente, che abbraccia più generi, animato da un cast ricchissimo, che scorre con piacere, forse proprio perché non punta su un elaborato assunto teorico ma sull’interessante personalità di uno scienziato controverso come Oppenheimer e sul suo “40s Scientists Cinematic Universe”, in cui si avvicendano come supereroi Einstein, Bohr, Fermi, Heisenberg, Teller, tutti contraddistinti da carisma e frasi a effetto degni della scuola Iron Man (per altro presente anche lui nella pellicola!).
Non c’è alcun presupposto per considerarlo una ricostruzione fedele (quale film biografico in fondo può essere considerato tale?), ma Nolan costruisce una dichiarata simulazione, un gioco (che sia questa la cifra dello stile nolaniano che vive anche in questa pellicola?). Mi spiego: il film è sostenuto dalla profonda gravitas legata all’esito che il lancio della bomba atomica avrà sulla Storia (più che sui tantissimi innocenti). Il punto di vista porta lo spettatore a distrarsi ripetutamente con altre cose, altre sfide, che siano lo scontro accademico tra le grandi menti, le ossessioni del protagonista (ben precedenti al senso di colpa legato a Hiroshima e Nagasaki), i rapporti con diverse donne. Insomma, solo in pochi e banalmente inscenati momenti le conseguenze dell’atomica sembrano avere un vero peso su Oppenheimer e sulla comunità scientifica.
Il vero problema per il protagonista è mantenere la propria credibilità di scienziato e cittadino americano, e da qui la dimensione ludica e virtuale che a mio parere pervade il film. Sbirciamo in una storia parziale, animata da pochi personaggi isolati in un luogo remoto, in cui l’influenza esterna è sempre lontana (dove sono gli indiani della riserva dove viene costruito il laboratorio di Los Alamos? Hitler, Kennedy e molti altri vengono citati come isole sperdute, a cui guardare col binocolo). Anche l’assunto che Oppenheimer sia stato l’uomo più importante del mondo, lo scienziato che ha portato il fuoco all’uomo…veramente? Più di chiunque altro? Insomma, possiamo mettere da parte le nostre domande e remore morali considerando che siamo di fronte a una bella storia, non alla Storia.
Oppenheimer è un film d’intrattenimento, ottimo come tanti ottimi film “biografici” americani, capaci di galvanizzarci, farci sentire più competenti, più consapevoli del mondo e della Storia, un film che appassiona, che si guarda volentieri, e che annovera questi tra i motivi del successo che sta avendo. Ma che ai miei occhi risulta una comoda pausa per Nolan dai suoi più intricati ragionamenti e tensioni, che, sebbene abbiano portato a critiche e perplessità, almeno avevano in sé la sua ricerca e la sua personalità.
La recensione
di Marco Lombardi
Ogni film dialoga necessariamente – oltre che con la sensibilità e il gusto di ciascuno di noi – con i rispettivi livelli di conoscenza, soprattutto cinematografica, rendendoci meno liberi di sentire le opere in purezza. Questo significa che vedere Oppenheimer senza aver mai visto qualcosa di Nolan, fa la differenza: mancheranno quei riferimenti che impediscono di far apparire anche questa sua opera come visionaria.
In effetti Nolan, probabilmente schiacciato dalla verità di un personaggio che già la storia ha abbondantemente analizzato in molte delle sue (evidenti) contraddizioni psicologiche ed etiche, con Oppenheimer fa il suo film più compilativo, e strettamente narrativo, ancor più di Insomnia e Dunkirk (che – almeno nella testa di Al Pacino, e nel cuore del popolo inglese – avevano rispettivamente previsto la classica dimora nolaniana, atemporale e aspaziale, quella magistralmente tratteggiata in Interstellar, ancor più che in Memento e Inception).
In Oppenheimer, infatti, persino il flashback rinuncia, nel suo essere così classicamente lineare, a scompaginare l’incedere degli eventi, aprendo parentesi e possibilità, e lo stesso dicasi degli effetti visivi e sonori che si limitano ad amplificare il già detto, invece di svelare il “nuovo”.
Se il personaggio di Oppenheimer risulta paradossalmente poco nolaniano, lo è invece (grazie all’interpretazione magistrale di Robert Downey Jr.) quello dell'”amico” Lewis Strauss, che riesce a rendere tutte le sfumature underground dell’invidia (quella invisibile, cioè vera), quasi il personaggio fosse stato preso dal rispettivo girone dantesco, più che dalla storia. In lui la dimora nolaniana è così ampia che, se proprio non riusciamo a non incensare “di default” questo ultimo film di Nolan, dovremmo almeno rinominarlo “Lewis”.
di Arianna Vietina e Marco Lombardi