Oltre le regole – The Messenger
La rappresentazione della guerra, la questione dell’estetica dei conflitti bellici, l’atroce e subdola “bellezza” della battaglia, delle pallottole sibilanti, delle azioni eroiche, delle esplosioni, delle urla e dei corpi martoriati. Ed ancora: la questione della raffigurazione (a scopo narrativo) della violenza, del dolore, del sangue, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo e della sofferenza. Sono elementi che riguardano il mondo delle arti visive nel suo complesso. E in primo luogo fotografia contemporanea (nella sua specializzazione fotogiornalistica) e il cinema. In quest’ultimo settore, in nome di un politicamente corretto, a volte utilizzato furbamente come copertura per fini puramente commerciali, si è fatto un uso del tema della guerra decisamente ambiguo, a volte spregiudicato. I risultati, cioè gli incassi, ci sono stati. E dunque tale pratica è divenuta diffusa.
Ebbene, ci voleva un regista israeliano trapiantato negli USA, che per ovvi motivi conosce perfettamente che cosa significhi vivere in un clima di guerra perenne e in un paese sempre in tensione, per realizzare un’opera che andasse in netta controtendenza e rivelasse in maniera inequivocabile l’altra faccia della medaglia del rapporto tra cinema e guerra. Attenzione, Oren Moverman, questo l’autore di cui stiamo parlando, con Oltre le regole – The Messenger non ha semplicemente realizzato un film sull’argomento “reducismo”, già ampiamente affrontato dal cinema contemporaneo; ha invece costruito un affresco di evidente pulizia formale e narrativa sulla società occidentale dei nostri anni, una società modellata sull’idea, piena di fantasmi e paure, del nemico, del diverso e dell’altro. Tale idea serve a rafforzare il potere di chi l’ha forgiata e a nascondere sotto il tappeto la reale malattia del vivere contemporaneo: la solitudine, il dolore di esistere in un mondo arido ed esclusivamente mercantile, la separazione sempre più netta tra ceti poveri e classe ricca. In tal senso, Oren Moverman è molto più vicino a Tod Solondz (e al suo Perdona e Dimentica/Life during wartime) piuttosto che a Kathryn Bigelow e al pluripremiato e discutibile The Hurt Locker (lungometraggio a sua volta lontano anni luce dall’angoscioso, claustrofobico e infinitamente più significativo Lebanon di Samuel Maoz).
Oltre le regole – The Messenger è un film di raro equilibrio e di assoluta misura espressiva. Non un eccesso è riscontrabile nel suo sviluppo narrativo, così come la regia appare saggiamente funzionale a mettere in evidenza il contenuto profondo della vicenda piuttosto che a creare situazioni visive appetibili per il grande pubblico. Moverman inquadra senza ricercatezze inutili e fuorvianti le vicissitudini dei due militari americani destinati al compito ingrato di comunicare ai familiari dei soldati caduti in Irak la morte dei loro congiunti. La sua impostazione registica è diretta e antispettacolare. Non sono riscontrabili tensioni estetizzanti e ammiccamenti al mondo del consumo cinematografico. Il rigore espressivo sembra essere il cardine di un progetto filmico che intende scavare in profondità, nel cuore di una società che, essendo fortemente concentrata a guardare fuori di sé, ha smesso di analizzare se stessa, la sua tragica condizione.
Oltre le regole – The Messenger si conclude con una sorta di finale aperto (troppo per alcuni), forse un po’ brusco a livello narrativo. Ma non poteva che essere così, visto che il suo regista non voleva certo emettere giudizi definitivi e indicare una strada sicura.
Il suo film si manifesta, semplicemente, come la presa d’atto di una sconfitta, alla quale i singoli possono reagire solamente riacquisendo la propria umanità e la propria dignità perduta.
di Maurizio G. De Bonis