Offside

Mentre Jafar Panahi paga il suo insopprimibile senso di libertà (anche espressiva) con gli arresti domiciliari e una condanna che gli impedirà, se confermata, di lavorare per i prossimi venti anni, viene distribuito nel nostro paese Offside, suo ultimo film già vincitore dell’Oro D’Argento al Festival di Berlino 2006.
Si tratta di un’opera che evidenzia in maniera chiara la dimensione autoriale di un regista che possiede il dono della chiarezza comunicativa e della fluidità stilistica. Impronta realistica, macchina a spalla, inquadrature tese alla raffigurazione del vero senza interventi sulla sostanza dell’immagine, ritmo, dialoghi serrati e a tratti anche divertenti. Offiside è un lungometraggio emblematico che fa emergere il senso di oppressione di cui sono vittime i ragazzi dell’Iran di oggi.

Lo spunto narrativo è la storica partita che l’Iran vinse nei confronti del Bahrein e che consentì alla squadra persiana di accedere alla fase finale dei Campionati del Mondo di Calcio del 2006, in Germania. In occasione di quel match (ma non solo quello) fu proibito alle donne di andare allo stadio, perché avrebbero potuto ascoltare le parolacce dei maschi e si sarebbero sedute inevitabilmente accanto a uomini sconosciuti.  Alcune ragazze, però, travestendosi da uomini sfidarono le severe regole che erano state imposte dalla Polizia e cercarono di entrare nello stadio. Alcune vi riuscirono e altre no. Proprio le seconde sono al centro della vicenda narrata con leggerezza e acutezza da Panahi, il quale ha strutturato la sua opera in maniera molto precisa.
Si assiste lungo tutto il racconto a un sostanziale susseguirsi di luoghi concentrazionari. Lo stadio ancorché spazio “teorico” di gioia collettiva allude a un’arena inquietante (da regime dittatoriale) nella quale solo gli uomini possono scalmanarsi e divertirsi. Le giovani protagoniste (cinque in tutto) sono invece segregate in un angusto recinto sotto il controllo di militari di leva che preferirebbero certamente essere seduti sugli spalti piuttosto che controllare le donne arrestate.
La vicenda prosegue su un furgone militare che dovrebbe portare le ragazze in una caserma insieme a un adolescente anche lui catturato allo stadio perché in possesso di banali fuochi d’artificio.

Luoghi, aperti o chiusi che siano, sempre deputati alla costrizione fisica, dei comportamenti individuali e addirittura delle idee. Una sorta di tensione ossessionante contraddistingue ogni inquadratura del film che si conclude nel caos post-partita che finisce per essere portatore di libertà.
Jafar Panahi sa come toccare le corde delle emozioni, ma lo fa sempre all’interno di una rigorosa griglia stilistica e, soprattutto, senza inutili forme di retorica. L’impressione è che il regista abbia voluto mettere sullo stesso piano le ragazze ribelli alle insulse regole del regime e i giovani di leva, costretti a mettere in pratica un’oppressione sociale priva di senso.
Offside è dunque  un affresco dell’universo giovanile iraniano privo di luoghi comuni. Le ragazze e i ragazzi al centro della vicenda (tutti non professionisti della recitazione) mostrano il lato normale, a tratti gioioso, di un Iran fondamentalista che tenta di spegnere con la violenza il sacrosanto desiderio di libertà delle generazioni di oggi.

L’inquadratura finale di una Teheran in festa per la vittoria della nazionale iraniana genera negli occhi dello spettatore una sorta di angoscioso straniamento poichè attraverso uno slittamento di senso, il ricordo non può che andare alle immagini delle strade della capitale iraniana durante le rivolte degli ultimi anni e alla durissima repressione giunta fino a  noi quasi esclusivamente grazie a ristrette porzioni di realtà rubate tramite cellulari ( e pochi fotoreportage), protesi tecnologiche di quella gioventù che sarà sempre più difficile ingabbiare e mettere a tacere.


di Maurizio G. De Bonis
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