Nymphomaniac – Volume 1

Posto che, a causa della durata complessiva dell’ultima opera di Von Trier, sia necessaria una divisione in due capitoli per la distribuzione in sala, l’analisi critica di questa prima parte del film non può avere la pretesa di essere esaustiva e definitiva. Il film stesso infatti si (auto)sospende in un finale “provvisorio” e “transitorio” che apre nuovi orizzonti di senso che chiedono di essere esplorati, cosa che avverrà appunto nella seconda e ultima parte dell’opera.

Come era prevedibile – conoscendo sia l’atteggiamento e le scoperte strategie del Von Trier personaggio che l’intima poetica e l’opera complessa e densa di significati del Von Trier regista Nymphomaniac disattende completamente le (false) aspettative messe in campo da una campagna pubblicitaria volutamente fuorviante e ironicamente provocatoria.

L’ultima opera del regista danese, infatti, non è un film permeato da un vitale erotismo, ma piuttosto un film terribilmente triste e cerebrale, cupo e freddo, in cui il sesso man mano si svuota completamente e irrimediabilmente della sua ragion d’essere, cioè del piacere. Nell’orizzonte alterato della protagonista Joe il sesso è un bisogno compulsivo che lei asseconda con meccanica solerzia: non è autoaffermazione della propria libertà ma piuttosto – al contrario – una scomoda schiavitù. Soprattutto, la ninfomania coincide addirittura – in maniera sempre più marcata fino all’ultima eloquente sequenza – con una sospensione del sentire. Quello di Joe è insomma una sorta di slittamento nella comprensione del reale, una distanza vertiginosa che si frappone tra lei e il mondo, una crudele sordità dei sensi, solo accidentalmente – sembrerebbe – coincidente con un disturbo legato alla sfera sessuale, che a ben guardare si fa mezzo e non fine del discorso.

Del resto non esistono amore né passione in questa dimensione, la carnalità stessa è congelata, spenta, svuotata di senso. La nudità dei corpi che Von Trier ci descrive non è mai esente da una certa dose di crudezza, che spesso porta con sé una totale assenza di grazia, eleganza e armonia: in una parola di sensualità. E questo vale spesso anche per la protagonista, interpretata non solo da una contrita e umiliata Charlotte Gainsbourg ma anche – nell’adolescenza – da una ancor più esile e androgina Stacy Martin.

Come un chirurgo sul tavolo operatorio, Von Trier seziona, taglia, analizza. Rubando a Peter Greenaway – in modo quasi sarcastico e caricaturale – qualche spunto grafico che viene gettato in una miscela di stili figurativi già abbastanza variegata, il regista somma e divide, spiega cause ed effetti con metafore che vogliono mostrarsi a volte palesemente ovvie e scontate. Tutto è programmato, studiato, pianificato: come molte altre opere di Von Trier anche questo è a suo modo un film “a tesi” dove si contrappongono un uomo e una donna, la ragione intellettuale (lui) con l’istinto materiale (lei); tutto si muove secondo percorsi prestabiliti ed entro uno schema già dato che rimarca in modo quasi sfrontato la propria (sterile, atona, prevedibile) solidità.

La sensazione finale è insomma che l’intento del regista sia, ancora una volta e qui molto più che altrove, di prendersi gioco dello spettatore con sagacia e ironia, ironia che però si porta dietro uno strascico indelebile di amarezza e disillusione.
Sebbene nell’insieme, già dalla prima parte, Nymphomaniac riveli la complessità dell’operazione che ne è alla base e la stratificazione del discorso messo in atto, chi ama e conosce Von Trier sa bene che questo autore è capace di plasmare opere ben più vitali, sincere ed energiche del suo ultimo, pur meritevole, lavoro, che in fondo ha tutta l’aria di un piacevole divertissement: una raffinata e fintamente scandalosa divagazione sull’arte del narrare, dove Joe sdraiata sul letto si diletta a inanellare tante piccole storie l’una nell’altra (i capitoli della sua vita) studiando le reazioni del suo – apparentemente – imperturbabile ascoltatore Seligman.

I dubbi che solleva questa prima parte del film, un poco meccanica e fredda se considerata slegata dal seguito della pellicola, verranno in parte riscattati dal secondo capitolo – o meglio volume – dove le premesse fatte fino a ora si esaudiranno naturalmente entro una dimensione ancora più nera e limacciosa di quella fin qui descritta.

Trama

Seligman è uno scapolo di mezza età che una sera, tornando a casa, trova il corpo di una donna riverso in a terra in un vicolo. Lei, ferita e sanguinante, è più o meno cosciente e accetta di seguire l’uomo a casa sua. Qui Joe – questo il suo nome – inizia a riprendere le forze e sdraiata su un letto racconta a Seligman tutti i lati più oscuri e complicati della propria vita: afferma infatti di essere una ninfomane e per di più colpevole di azioni terribili.


di Arianna Pagliara
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