Nord
Una storia semplice, diretta, anche prevedibile, con improvvise virate vagamente surreali e una generale sensazione di straniamento, sempre in agguato. Paesaggi illuminati da una luce abbacinanti, distese di neve a perdita d’occhio, solitudine e angoscia esistenziale. Jomar ha appena trenta anni ma la sua esistenza sembra già miseramente finita. Ex sciatore di livello internazionale, si ritrova decisamente ingrassato a fare da custode alle piste di sci che un tempo lo vedevano sfrecciare leggero come una libellula. Ora la sua realtà è un’altra: attacchi di panico, isolamento, alcool e sigarette. È dunque ovvio che in una situazione del genere, il personaggio centrale prenda il largo, abbandoni la sua vita miserabile e si spinga verso una direzione geografica che ovviamente allude alla ricerca interiore di se.
Jomar è il cardine narrativo di Nord, film del norvegese Rune Denstad Langlo, regista dotato di un buon tocco espressivo che tenta, però, un’operazione quanto mai scontata: la rivisitazione di un genere. Ambientare un road movie in Norvegia, in pieno inverno, è questione non facilmente risolvibile. Basta però sistemare il protagonista su un “gatto delle nevi” per risolvere questo problema.
Rune Denstad Langlo “spara” il suo personaggio come una sorta di proiettile senza direzione, anche se in verità sappiamo voler raggiungere la sua ex compagna che vive con un figlioletto (che non ha mai visto) in un villaggio sperduto nel nord del paese. È un viaggio amaro, quasi senza speranza, anche se lungo il suo tragitto incontrerà diversi personaggi che contribuiranno a dargli la forza per farlo giungere alla meta.
Campi lunghissimi, spazi giganteschi e quasi insensati, una natura impassibile e crudele. Un nulla pressoché metafisico sembra regnare sovrano, ma è proprio questo nulla che finisce per svolgere una funzione terapeutica su Jumar, una montagna umana dal cuore delicato e dalla psiche fragile.
La struttura del racconto è di una banalità palese: un viaggio, alcuni incontri stravagenti, una risoluzione che potrebbe essere positiva. Attraversare la natura ostile è per Jumar un’esperienza catartica, forse la soluzione dei suoi problemi.
Rune Denstad Langlo non brilla certo per una regia particolarmente coinvolegente, anzi sembra che abbia volutamente tenere a bada il suo sguardo, costruendo una storia visuale che non intendeva puntare sulla forza estetizzante dei paesaggi ma solo sul senso metaforico del viaggio.
Ne è uscito fuori un film per nulla sgradevole ma un po’ molle, perché già visto e privo di idee realmente significative sotto il profilo espressivo.
di Maurizio G. De Bonis