No End
Perché “No End” dell’iraniano Nader Saeivar è il più bel film del Bifest?
No End, presentato al Bifest, vince il premio Taxidrivers, per miglior film e regia. 112′ minuti di suspense con il montaggio di Jafar Panahi, la regia di Nader Saeivar e la sceneggiatura di entrambi.
ArtHood Films ha prodotto il film. Le musiche sono di Mortaza Mirza. La cupa fotografia, emblema di morte, buio e medioevo animico è di Vahid Biouteh. I costumi di Fahime Jahani.
No End è una disamina sulla stupidità dei governi, dei loro servizi di “intelligence” che dovrebbero invece chiamarsi “stupidity”. Il cittadino non esiste più nei suoi diritti e non ci sarà mai fine, “no end” appunto, al controllo e alla violenza. La pellicola racconta come da un errore di interpretazione, fatto da emissari idioti dello stato, venga irrimediabilmente rovinata la vita di più individui.
Ayaz è un uomo onesto, un gran lavoratore che sogna, come tanti, una casa tutta sua. Lui e sua moglie vivono nella dimora del cognato, investendo tutti i loro risparmi per il nuovo acquisto e vivendo con i soldi inviati da costui, ormai in esilio in Germania da 30 anni. Per posporre il ritorno del cognato che rovinerebbe i loro progetti di vita e per spaventarlo, Ayaz, in un momento di disperazione, decide di inscenare una ricerca in casa. Scoperto dai veri servizi segreti, egli si ritrova nella loro morsa, la stretta di un’istituzione volta a piegarlo e a distruggerne i sogni, forzato verso un destino dannato. L’epilogo sarà devastante.
Potenza del dramma sociale che si espleta nel controllo del cittadino, nella perdita della privacy, nella violenza per ottenere informazioni. I temi del film sono molti tra cui, oltre ai soprusi e agli abusi di potere di servizi deviati, si esplorano anche e nettamente i confini tra privato e pubblico, che svaniscono e non esistono più, lasciando il cittadino inerme.
Tante le riflessioni che No End scatena e utili a capire che ciò che sta avvenendo in un numero sempre maggiore di stati, Italia inclusa e non consapevole, è una realtà. Non è finzione. No End colpisce quindi come un pugno allo stomaco.
Regista e montatore hanno ben chiaro cosa significhi repressione, controllo, paura delle istituzioni e lo rendono perfettamente, dando aiuto e sostegno emotivo a tutti coloro che sono perseguitati da governi mostruosi, a cui anche il nostro si sta sempre più avvicinando. Il film girato sempre nell’oscurità, quella che pervade il regno di Gilgamesh, oggi più che mai, ha una fotografia utile a definire la realtà: buia.
Un altro tema che emerge dal film è l’assoluta impotenza del cittadino di fronte ai rincari economici e all’impossibilità di acquistare una casa che in Iran, come altrove, ha costi esorbitanti. La sensazione di sicurezza che un’abitazione propria dà a un cittadino è un miraggio, diviene quindi un’utopia. Questo genera frustrazione, specie a lavoratori onesti e sfruttati da governi totalmente corrotti e corruttibili.
Ottimi attori, uno su tutti Vahid Mobasseri, il protagonista, sembra un sorta di Mister Bean iraniano. Se non fosse che non c’è nulla da ridere. La sua faccia davanti al terrore dei soprusi è da icona. Negli interrogatori dell’intelligence trema, gli balla il labbro, muove le mani in modo meraviglioso, nell’incontenibile e insostenibile tentativo di difesa del sé. Già solo il protagonista vale tutto il film e lo spettatore è da subito con lui, con le sue fragilità e lecite paure di un governo assassino. Tra gli altri bravi attori: Fahime Jahani, Shahin Kazemnejad, Narjes Delaram.