Nella valle di Elah
Paul Haggis è senza dubbio uno dei maggiori sceneggiatori attualmente in attività. Negli ultimi anni si è dedicato soprattutto a una proficua collaborazione con Clint Eastwood, attraverso la scrittura di sceneggiature di lungometraggi intensi e profondi come Million Dollar Baby, Flags of our Fathers e Letters from Iwo Jima.
Nel 2004, Haggis divenne famoso per la sua opera da regista intitolata Crash (come il film di Cronenberg, ed entrambi i registi sono canadesi), pellicola che rivelò questo importante autore al grande pubblico e che fu ben accolta anche dalla critica.
Il cinema di Haggis è solido, intenso, denso di significati in qualche occasione proposti in maniera equilibrata, in altre in modo forse più scontato e ingenuo. Crash aveva a nostro avviso dei tratti di prevedibilità che determinavano in alcuni passaggi una sorta di caduta del film verso la banalità, l’ovvio. Questa prevedibilità è in parte presente anche in Nella Valle di Elah, anche se con un peso meno decisivo.
Ebbene, l’ultimo lungometraggio di Haggis è stato presentato in concorso alla 64 edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e ora è in distribuzione nelle sale del nostro paese.
Si tratta di un lavoro doloroso, tragico e anche toccante, appena intaccato da una punta di retorica che emerge solo nella fase finale del racconto.
Paul Haggis raffigura con sguardo lucido la società americana contemporanea e i suoi presunti valori, quei valori sui quali è stata edificata una classe piccolo borghese conservatrice, spesso troppo semplice e incapace di guardare la realtà con spirito oggettivo.
Il percorso del militare in pensione Hank Deerfield consiste proprio nel rimuovere dal suo sguardo quella patina di retorica nazionalistica che gli impedisce di confrontarsi con la crudezza del mondo attuale. L’indagine che il protagonista compie per scoprire cosa sia successo al figlio, scomparso misteriosamente, è in verità un’esplorazione dentro se stesso. Hank cerca di capire cosa abbia rappresentato per se e per la sua famiglia il suo onesto e convinto attaccamento ai valori della patria e della difesa della libertà, tenta di capire se tutto ciò abbia avuto un senso, visto che il mondo militare, nel quale ha sempre ciecamente creduto, si mostra ai suoi occhi, oggi, come un universo corrotto, misterioso, attraversato da enormi disagi psicologici. In tal senso, Nella valle di Elah è un lungometraggio significativo poiché fa emergere con chiarezza problematiche umane, sociali e politiche che nei nostri tempi sono fondamentali.
Nel ruolo di Hank uno straordinario Tommy Lee Jones, il quale ormai con un semplice primo piano riesce a trasmettere allo spettatore un intero universo di sensazioni, ansie, dolori, sofferenze, riflessioni interiori. Accanto a lui una misurata e puntuale Susan Sarandon, nella parte della madre del militare scomparso. L’elemento stonato in tutta questa raffinata e profonda architettura visivo-narrativa è la presenza di Charlize Theron, non proprio a suo agio nel personaggio della poliziotta che si allea con Hank per scoprire la verità sul mistero al centro della vicenda. Non bastano poco trucco, i capelli raccolti e il volto imbronciato per dare spessore a un personaggio.
*Per concessione delle testata giornalistica Cultframe-Arti Visive e Comunicazione – www.cultframe.com
di Maurizio G. De Bonis