Napoli velata

Due sono le protagoniste dell’ultimo film di Ferzan Ozpetek: Giovanna Mezzogiorno (alla sua seconda esperienza con il regista dopo La finestra di fronte, 2003) e la città di Napoli, che più che velata è oscuramente misteriosa e labirintica, sotterranea e barocca, fatta di antri bui e interni fastosi e soffocanti. E tuttavia, in superficie e all’esterno, Napoli è anche piena di luce, abbacinante e bellissima, dominata dall’azzurro del cielo e del mare.

Come la città, anche la protagonista Adriana, medico legale, ha una doppia anima: è una donna realizzata, circondata dall’affetto di amici e familiari, capace di abbandonarsi alla passione imprevista di una notte con trasporto ed entusiasmo. Ma nella parte più nera e profonda del cuore custodisce segreti dolorosi e indicibili.

A partire dal suo incontro travolgente con Andrea (Alessandro Borghi), il regista innesca una doppia trama “poliziesca” volta a portare alla luce da un lato ciò che si nasconde nelle viscere della città (e nel presente di quest’uomo sfuggente e intrigante) e dall’altro ciò che è seppellito nell’inconscio di Adriana, di cui non restano che brandelli di visioni fugaci, che solo alla fine, dopo un percorso lungo e accidentato, potranno ricomporsi nell’immagine amara eppure liberatoria della verità.

Ma l’assunto ultimo del film – che è essenzialmente una storia d’amore e di fantasmi, di assenze e desideri – sta tutto nell’epilogo, che dichiara definitivamente l’ambiguità del reale, l’impossibilità di discernimento tra immaginazione e tangibilità, il compenetrarsi inevitabile di spirito e materia. E, ancora, la definitiva impossibilità di raggiungimento dell’assoluto, in luogo del quale non troviamo altro che interpretazioni. Perché la realtà, suggerisce Ozpetek, è anche quella che vediamo (solo) con l’occhio della mente, come confermerà – non a caso – il ritrovamento dell’occhio porta fortuna che era appartenuto al padre di Adriana.

Perché la realtà, suggerisce Ozpetek, è anche quella che vediamo (solo) con l’occhio della mente

Che Ozpetek sia un regista dalla mano sicura, capace di costruire ed evocare atmosfere pervasive e fascinose, Napoli velata – teso tra noir e melodramma – lo riconferma senza alcun dubbio; come riconferma pure, purtroppo, la sua incapacità (o non-volontà?) di fuoriuscire dal tracciato di un sguardo che è, in definitiva, sensualmente orientato, in maniera marcata e vistosa. Sguardo certamente necessario in molte sue precedenti opere, dove il desiderio descritto era quello di uomo per un altro uomo; ma a tratti perfino stridente qui, dove al centro del discorso stanno invece i sentimenti di una donna. Ed è per questo che Alessandro Borghi, presenza forte e magnetica in film come Non essere cattivo (Claudio Caligari, 2015) e Fortunata (Sergio Castellitto, 2017), non può che offrire, in questo caso, una performance tutta epidermica e bidimensionale, risolta nell’insistenza su una fisicità che non rimanda altro che a se stessa, e non racconta – come invece dovrebbe – lo sguardo innamorato della protagonista, quanto quello compiaciuto del regista.

Al di là di ciò, Napoli velata trova la sua forza nella rappresentazione dei luoghi – dei quali il regista cerca di catturare lo spirito profondo, oltre il folclore – e nell’impianto corale che, come spesso avviene nel cinema di Ozpetek, restituisce allo spettatore una galleria di ritratti particolareggiati, peculiari e credibilissimi. Senza dimenticare l’interpretazione di Giovanna Mezzogiorno che più trattenuta, asciutta e quasi dimessa rispetto a molti suoi precedenti film regala alla protagonista Adriana un volto autentico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trama

Adriana, medico legale che vive a Napoli, trascorre una notte di passione assieme a un uomo appena conosciuto, che il giorno successivo tuttavia sparisce nel nulla. Mentre la polizia indaga sul presente di lui – che si rivelerà ambiguo e pieno di segreti - Adriana indaga sul proprio passato, alla ricerca di un rimosso terribile e spaventoso.  

di Arianna Pagliara
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