My Old Lady

Israel Horovitz debutta alla regia a settantacinque anni con la trasposizione cinematografica di una sua commedia di successo messa in scena nel 2002.
Il noto commediografo e sceneggiatore aveva da anni questo desiderio ed ora, grazie ad una coproduzione che gli ha messo a disposizione un eccellente cast, è riuscito ad esaudirlo.

Talento precoce, all’età di 13 anni ha scritto il suo primo romanzo che è stato respinto da Simon & Schuster, che poi divennero i suoi primi editori, ma con i complimenti per le sue “meravigliose qualità di scrittore ancora acerbo”. A 17 anni,  ha scritto la sua prima commedia dal titolo The Comeback messa in scena dalla compagnia teatrale della Suffolk University.

Da quel momento, molteplici successi che lo hanno portato ad essere considerato uno dei più interessanti e prolifici autori d’oltreoceano, con oltre settanta testi scritti molti dei quali  tradotti e rappresentati in più di trenta lingue in tutto il mondo.
La sua prima sceneggiatura per il cinema è stata Fragole e sangue (The Strawberry Statement, 1970) che era stata preceduta nel 1969 dai dialoghi da lui scritti per Gli intoccabili, diretto da Giuliano Montaldo con l’interpretazione di John Cassavetes, Peter Falk e Britt Ekland.

Parigi e la Francia sono nel suo DNA, tanto che divide il suo tempo tra gli Stati Uniti e Parigi, dove dirige spesso le produzioni in lingua francese delle sue opere. Da qui il suo interesse per l’incontro – scontro tra culture diverse, tra modi di vivere apparentemente antitetici bene rappresentato in My Old Lady, dove si contrappongono le atmosfere latine dell’ambientazione, (come personaggio identificato nella figlia della Lady), allo stress da newyorkese dello scrittore fallito a cui si aggiunge, con sensibilità, la figura della anziana signora inglese.

Parigi, in questo caso, è la sua peggiore nemica. Non l’ha saputa descrivere utilizzandola unicamente come sfondo da cartolina illustrata per turisti, non cercando di trovare situazioni che la potessero far divenire coprotagonista; perfino l’agente immobiliare che vive in una house boat sulla Senna sembra lì per caso e non riesce ad essere credibile.
Appartamento di lusso in una zona di lusso, una casa di 400/600 metri che rappresenta la speranza di una rinascita per lo scrittore eternamente indebitato che deve dare gli alimenti a tre ex mogli e che non riesce a pubblicare i suoi scritti. La delusione quando scopre che è abitata da longeva vecchietta e dalla figlia con un contratto di nuda proprietà che garantisce alla donna la casa fino alla sua morte oltreché 2400 euro al mese.

L’odio per la figlia che si trasforma in amore, l’enigma sulla possibilità che la donna sia sua sorellastra svelato senza un minimo di tensione drammatica, la scoperta che il padre tradiva la madre con questa donna e che aveva continuato a frequentarla anche dopo che la consorte si era suicidata per il dolore di essere tradita sono raccontati senza riuscire a coinvolgere emotivamente lo spettatore.

Il film non convince per la prevedibilità della vicenda e gli stereotipi di questa Parigi non compresa  che dimostrano il fallimento del tentativo di Horovitz di superarli. La sensazione è che, per rendere meno amaro il contenuto della vicenda, abbia esagerato nel volere rendere ogni altra cosa troppo tranquillizzante e ovvia nella sua scrittura.

La trama parrebbe essere la struttura di una classica commedia hollywoodiana, e in vari momenti lo è, soprattutto nell’inizio, apparentemente leggero e dotato di un buon ritmo. Ma il tentativo del regista è di far convivere quest’anima indispensabile per ottenere un po’ di successo al box office con una struttura più drammatica. Da quel momento tutto si trasforma in dramma esistenziale, nel rapporto distruttivo che contraddistingue i tre protagonisti, nel dolore insopportabile di dovere guardare in se stessi ed essere costretti a giudicarsi.

La struttura è più teatrale che cinematografica con l’ambientazione che privilegia gli interni dell’appartamento piuttosto che il mondo che lo attornia, con dialoghi che prendono il sopravvento sull’azione. Il dolore di Mathias e Chloé è silenzioso, pudico, mai vissuto o raccontato sopra le righe. Inizialmente, si odiano forse perché non hanno capito di essere tanto simili nonché uniti da un’infanzia difficile fatta di genitori mai presenti emotivamente. Poi, inevitabilmente, provano attrazione l’uno per l’altro.

Mathilde – splendidamente interpretata da Maggie Smith con eleganza e un pizzico di humor inglese – è l’anziana protagonista; amorale per amore dell’uomo americano e per cui non ha difficoltà a tradire il marito che probabilmente sa di non essere il padre della figlia che ha riconosciuto. È una donna felice della sua esistenza, ha creato scuole di lingue, ha garantito a se stessa l’agiatezza ed alla figlia una fonte di sopravvivenza.

Non si rende conto, forse, del male che ha fatto alla moglie del uomo – che lei credeva morta per malattia – e al figlio che aveva salvato la donna varie volte da altri tentativi di suicidio.

Non solo, si ritiene una brava madre perché ha garantito alla figlia un padre ufficiale che forse non la ha mai amata ma che le ha permesso di avere un’esistenza convenzionalmente accettabile. Quando capisce che non può più fare finta di nulla, fa un piccolo mea culpa e spera che tutto si risolva senza crearle ulteriori problemi.

Kevin Kline è Mathias, scrittore che dalla vita ha avuto più delusioni che gioie, che ha tentato tre volte sposandosi di dare una svolta alla propria vita, che sa di essere votato al fallimento. Sogna, spera, si illude ma ben presto capisce che il padre, che non lo ha mai amato e che lo considerava un fallito, gli ha fatto un ulteriore grave torto lasciandogli in eredità una casa che gli costa molti soldi e che non ha la possibilità di vendere perché così rischierebbe di lasciare senza una sistemazione la figlia della Lady di cui lui si è innamorato.

Kristin Scott Thomas è Chloé, la donna sospettosa, terrorizzata dal perdere quel poco che ha. Nell’americano vede un nemico, una persona che potrebbe distruggere il suo piccolo mondo fatto di falsità ma in cui si impone di credere, compreso l’amore con un uomo sposato ma che mai lascerà la moglie per lei. Inconsciamente, si rende conto che potrebbe essere l’uomo che ha sempre cercato e sognato senza mai incontrare. Si lascia andare, dimostra impotenza di fronte a quello che potrebbe essere amore, rinuncia alla corteccia che fino a quel momento l’aveva fatta sentire sicura.

Tre personaggi per una commedia teatrale che è rimasta tale, difficile giudicare come lavoro cinematografico. A Horovitz si può comunque perdonare questo piccolo inciampo in una carriera artistica che ha donato moltissimi lavori da ricordare con piacere.

TRAMA

Scrittore newyorkese, quasi sessantenne e squattrinato, eredita dal padre prestigioso appartamento di grossa metratura a Parigi e con una vista impagabile sul Jardin du Luxembourg. Giunge pieno di speranze e vorrebbe immediatamente vendere la proprietà per uscire dalla sua cronica indigenza. Ma è occupata da Mathilde, una raffinata novantenne inglese, e da Chloé, l’iperprotettiva figlia sessantenne di lei, che hanno fatto un contratto di nuda proprietà che permette all’anziana di viverci fino alla morte e di ricevere 2400 euro al mese dai nuovi proprietari della casa…


di Redazione
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