Mustang
La forza e la vitalità, sul piano stilistico come su quello narrativo, dimostrata in questi anni dal cinema d’autore turco sono di certo anche riflesso delle contraddizioni che lacerano – con esiti sempre più drammatici – quel paese. Come e forse più che in altre zone dell’area, la società turca appare oggi divisa tra Oriente e Occidente, religione e laicità, tradizione e modernità, campagna e metropoli, cultura maschilista e libertà delle donne, ecc. Il cinema turco ci parla di queste contraddizioni e, non a caso, le giovani registe donne vi giuocano un ruolo sempre più rilevante.
Dopo le opere apprezzate dalla critica internazionale di una autrice come Emine Emel Balci (Ich Liebe Dich, 2011, Until I Lose My Breath, 2015) e dopo aver ammirato a Venezia, nel programma della 30ma SIC-Settimana Internazionale della Critica, l’esordio di Senem Tüzen con Ana Yurdu (Madrepatria), poetico e rigoroso racconto di un conflitto tra madre e figlia ambientato in un villaggio dell’Anatolia, arriva ora in sala anche in Italia (dopo l’anteprima al Festa del Cinema di Roma) Mustang di Deniz Gamze Ergüven, un’altro interessante esordio femminile che a maggio era approdato sino alla Quinzaine di Cannes.
La Ergüven (classe 1978) ha avuto una educazione cosmopolita e vive oggi tra Istanbul, New York e Parigi dove si è diplomata in cinema alla Fémis e ha incontrato, tra gli altri, Olivier Assayas. Anche i suoi due primi cortometraggi, già notati dai festival internazionali, avevano al centro il tema dell’emancipazione femminile. Per il suo esordio nel lungo, una coproduzione tra Turchia e Francia, ha trovato una importante alleata, a cominciare dallo script, in Alice Winocour, sceneggiatrice e regista francese emergente (il suo ultimo film, Disorder, era a Cannes in “Un certain regard”).
Diciamo subito che, rispetto ai titoli delle altre registe, Mustang rivela una sensibilità più vicina ai gusti di un pubblico occidentale e presenta caratteristiche più “appetibili” da un punto di vista più squisitamente commerciale. Lo attestano alcune soluzioni narratologiche classiche, come la lotta impari contro il male, ma con la presenza di alcuni personaggi salvifici, delle cinque “eroine”, giovanissime (di età compresa tra i 12 e i 16 anni) e incantevoli (forse persino troppo) protagoniste; la scelta di un set di arcana e selvaggia bellezza – un villaggio sperduto a 600 km a nord di Instanbul, affacciato sulla costa del Mar Nero – ma soprattutto un cast assai azzeccato in tutti i ruoli, nel quale spiccano, dopo una ricerca durata molti mesi tra la Turchia e la Francia, i personaggi di Nur, Selma, Ece, Sonay, Lale. Sembra incredibile, a guardarle bucare lo schermo, che (con la sola eccezione dell’attrice che impersona Ece) non avessero alcuna precedente esperienza cinematografica, e va di sicuro ascritto a merito della regista aver infuso loro la giusta energia e creato le condizioni di un forte affiatamento di gruppo che le fa apparire credibilmente ribelli e focose come i cavalli del titolo, ma soprattutto le fa recitare, in linea con lo spirito della storia, come fossero parti di un unico corpo (aspetto che la Erguven non manca di enfatizzare con alcuni piani di ripresa, affascinanti ma un po’ “costruiti”). Del resto, sono tutte e cinque accomunate dal destino di essere orfane, affidate alle cure non sempre amorevoli della nonna (Nihal Koldas, che avevamo già ammirato in Madrepatria della Tüzen e che qua interpreta assai bene un personaggio di notevole ambiguità) e in balia di uno zio violento.
Per festeggiare la fine dell’anno scolastico e l’inizio dell’estate, le cinque ragazze si ritrovano a correre e giocare tra la spiaggia e il mare blu con i loro coetanei maschi. Le maldicenze dei vicini daranno il via a una discesa nell’inferno familiare, punteggiato da botte, test di verginità, lezioni di economia domestica e appuntamenti con i giovani promessi sposi di matrimoni combinati. Sarà alla più piccola e più ribelle delle sorelle, Lale (Günes Sensoy, un futuro da grande attrice), che la regista affiderà – con scelta a volte un po’ didascalica rispetto a quanto già le immagini si incaricano di mostrare – la responsabilità del racconto (in voce fuori campo) e dello sguardo sugli eventi.
Ma se la casa diventa una “fabbrica di spose”, essa si trasforma gradualmente anche in una prigione reale, fatta di sbarre e di grate, per prevenire ogni contaminazione con l’esterno e preservare il silenzio sulle più turpi consuetudini. La messa in scena si fa via via più claustrofobica e la regista fa spesso uso di riprese dal basso o che pedinano a livello del pavimento l’incrocio dei passi e delle traiettorie degli abitanti della casa. Non a caso (oltre ad aver rifiutato ogni paragone con le ‘vergini suicide’ di Sofia Coppola), ha detto di essersi ispirata al Salò di Pasolini (ed è bello pensare come una giovane regista faccia memoria viva di quel film, involontario testamento del grande artista, di cui sta per giungere sugli schermi la versione integrale e restaurata a cura di Cineteca Nazionale e Cineteca di Bologna); ma anche di aver visto molti film ambientati in prigione o che parlano di evasioni.
Oltre che grande capacità di direzione attoriale, Deniz Gamze Ergüven dimostra notevole padronanza tecnica (come nei primi piani fluidi e avvolgenti delle ragazze, sottolineati dalla partitura sin troppo evocativa di Warren Ellis). Ottimo il montaggio serrato di Mathilde Van de Moortel che asseconda (insieme alle incursioni sonore dei Baba Zula, famosa band alternativa turca) il crescendo drammatico delle vicende, sino al finale aperto, nell’alba magica di Istanbul, che non raccontiamo, ma che non può non rievocare il dramma che un popolo, e in special modo la sua “meglio gioventù” sta ormai da tempo vivendo.
Trama
Siamo all’inizio dell’estate. In un remoto villaggio turco. Lale e le sue quattro sorelle scatenano uno scandalo dalle conseguenze inattese per essersi messe a giocare con dei ragazzini tornando da scuola. La casa in cui vivono con la famiglia si trasforma un po’ alla volta in una prigione. Le cinque sorelle, animate dallo stesso desiderio di libertà,si sottrarranno alle costrizioni loro imposte.
di Sergio Di Giorgi