Munich

Si può, anzi si deve discutere di Munich, non solo ideologicamente. Ma su una cosa non ci sono dubbi: il fatto che sia vero, puro, eccellente cinema. Non si tratta qui di ribadire l’ovvia abilità di Steven Spielberg, ma di riconoscere la qualità non solo spettacolare ma anche emozionale del film, la capacità del regista di parlare allo spettatore in primis attraverso lo stile.
Steven Spielberg racconta la rappresaglia messa in atto dal Mossad – su mandato di Golda Meir – contro i palestinesi ritenuti responsabili di aver sequestrato e ucciso gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Ispirandosi al controverso libro Vendetta di George Jonas, il regista costruisce un’opera incalzante, classica nell’impianto, fra azione e spy story – con un’aria molto anni Settanta, atmosfere alla Friedkin – ma percorsa da una neanche troppo sotterranea corrente di dolore, vertigine, straniamento. Si muovono in una dimensione sospesa, allucinata, i cinque uomini della squadra incaricata di eliminare undici palestinesi. Si spostano tra Berlino, Roma, Parigi, Atene, sono costretti a fidarsi di misteriosi informatori al servizio del miglior offerente, occupano grandi appartamenti teoricamente sicuri, preparano congegni che a volte non funzionano, corrono, si appostano, nelle pause cucinano e si sforzano di ridere, ma ci riescono sempre meno.
Qualcuno muore. Chi resta si sente sempre più solo e smarrito. La confusione del protagonista, Avner, finisce per essere quella dello spettatore, che si domanda: ma che sta succedendo? E’ con una serie di omicidi a sangue freddo che si combatte il terrorismo?
Munich è un film denso, che procede per accumulo più che per sottrazione, eppure lo stile finisce per essere sobrio, i colori sono lividi (bellissima la fotografia di Janusz Kaminski), gli agenti segreti hanno un’aria quasi dimessa. E’ anche un’opera dove non mancano, anzi abbondano i difetti: per esempio, si vorrebbe sapere qualcosa di più sui componenti della squadra, e non sul solo Avner; la scena in cui il protagonista ripensa al massacro di Monaco mentre fa l’amore con la moglie è davvero brutta; alcuni momenti centrali della narrazione sono frettolosi, poco chiari.
Munich però è un film ben più forte della somma dei suoi difetti, è un grande film, teso e doloroso. Ottimo il cast, da Eric Bana(malamente doppiato da Claudio Santamaria nella versione italiana) a Daniel Craig, prossimo 007, da Ciaran Hinds al sempre ottimoGeoffrey Rush.
A torto qualcuno ha accusato Spielberg di ambiguità ideologica. La questione mediorientale è troppo complessa perché un regista o film possano dare risposte nette. Munich è solo un film, certamente scomodo, che comunque si chiude con un messaggio chiaro, rivolto anche all’oggi (sullo sfondo delle Torri Gemelle di New York): il sangue chiama sangue e la vendetta genera altra violenza.
di Anna Parodi