Much Loved

Much Loved è un film coraggioso, su questo non si discute. Osa mostrare la vita amara delle prostitute marocchine, la loro realtà quotidiana fatta di uomini brutali, umiliazioni continue e famiglie d’origine divise fra vergogna e avidità. Il film è stato vietato in Marocco, il regista e sceneggiatore Nabil Ayouch e l’attrice principale Loubna Abidar sono stati minacciati e costretti ad affrontare processi. Onore al merito, quindi, per chi racconta – a caro prezzo – una dura realtà femminile, che nel paese islamico nordafricano è nascosta ma in realtà – come ovunque – molto diffusa, con il suo contorno di violenza, droga, alcool. Ayouch per realizzare Much Loved ha incontrato centinaia di prostitute del suo paese, per dare una dimensione il più possibile autentica al suo racconto.

L’obiettivo è raggiunto: il film è credibile nella sua ricostruzione, intenso e coinvolgente nel modo in cui descrive quattro giovani donne in bilico fra risate e lacrime. Le attrici – Loubna Abidar in testa – sono perfette nei loro ruoli, bravissime ed emozionanti, sia quando si truccano e si mettono abiti vistosi per andare a caccia di ricchi sauditi, sia quando litigano per l’uso di un frullatore o si stringono l’una accanto all’altra, in pigiamini rosa, per ridere e guardare i film indiani di Bollywood pieni di musiche, danze e tenebrosi eroi maschili.

Questo non vuol dire però che si tratti di un’opera pienamente riuscita, anzi. Much Loved ha molti difetti soprattutto di scrittura, è ripetitivo, ridondante e a volte persino voyeuristico, gira troppo spesso a vuoto, come se la volontà di testimonianza, per non dire di cronaca, non riuscisse a trasformarsi in un racconto coerente. Se la dimensione corale funziona sempre, le storie individuali delle quattro protagoniste non sono sempre rese al meglio: colpisce Noah che si mette il velo per andare a trovare la famiglia (fra cui il figlio piccolo che neppure riesce ad abbracciare), risultano meno convincenti gli incontri – anche terribili – di Soukaina (con il ricco saudita e con un “innamorato” povero che le tocca pure mantenere ) o i tentativi di Randa di comprendere la propria sessualità. Inoltre alcune sequenze (come la festicciola con i travestiti amici e rivali) avrebbero avuto bisogno di un Almodovar marocchino per risultare davvero convincenti. Invece l’arrivo nel gruppo della giovane Hlima, campagnola, sbandata e incinta, regala al film alcuni dei suoi momenti migliori. Un’opera da vedere, comunque: per gli sguardi dolenti e vivaci delle protagoniste, per certe bellissime scene di complicità femminile (memorabile quella in cui finiscono per dormire tutte nel lettone, stringendosi come bambine), per la Marrakech che vediamo attraverso gli occhi di Noah, quando contempla la sua città mentre ritorna in taxi dal suo lavoro notturno.

Trama

A Marrakech, tre prostitute condividono la casa, la vita, il fedele autista e tuttofare Said, le poche speranze e le molte umiliazioni. Noah è la più grande di loro e la “leader” del gruppo: ha un figlio che non vede mai, due fratelli avviati verso una vita difficile, una madre che la disprezza ma che le chiede soldi. Soukaina è la sognatrice, generosa e persino romantica. Randa è la più giovane e ribelle, sogna di raggiungere in Spagna un padre che in pratica non ha mai conosciuto. A loro si aggiunge Hlima, una giovane di campagna, fuggita di casa perché in attesa di un figlio…



di Anna Parodi
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