Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno
La recensione di Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno, di Cristopher McQuarrie, a cura di Massimiliano Martiradonna.
Il primo grande film di azione in cui il nemico del mondo è una intelligenza artificiale. Una AI modernamente concepita, con tracce evidenti di quel nous anassagoreo che si riscontrava nel seminale Ghost in The Shell, ma anche del meccanicismo teleologico che nutriva la distopia di Matrix.
Il regista Cristopher McQuarrie, anche cosceneggiatore, pare risolvere da subito il primo dei grandi quesiti, su come rappresentare visivamente un’intelligenza per sua natura etera e intangibile: sceglie la strada del retrofuturismo. Un sistema di led bicromatico infatti introduce le prime pulsioni sovversive della AI, in italiano definita entità, così come in seguito il suo presunto spettro emotivo è declinato secondo fasci di onde luminose. Sono tracce funzionali a una caccia al tesoro in grande stile, tutto molto old fashioned: dal MacGuffin di una chiave in due parti, fino al percorso a ostacoli verso l’isola (che non c’è), cioè all’abisso, dove tutto comincia. Deja vu, in effetti.
Gustoso è il tema di come la AI possa incarnare varie raffigurazioni umane, non sussumendosi nelle stesse ma orientandone le azioni, al contempo alterando la percezione che dei suoi agenti in carne e ossa hanno i sistemi elettronici – of course – di riconoscimento dell’identità. Ecco quindi che il polimorfico Tom Cruise, il face-off Tom Cruise, cambiavolto cambiavventura, si trova a battagliare con la polimorfica AI, ed è un peccato che costei – o costui? – in corso di narrazione, per comodità di comprensione finisca con il coincidere con un umano prevalente, un cattivone che riciccia dal tempo che fu.
Qui la cosa si complica, pare farsi programmatica, il tema sembra essere la lotta alla AI come demiurga del futuro ma anche revisionista del passato, ed allora ecco che Mission Impossible 7, almeno il primo capitolo, è un film binario come fosse esso stesso un’entità digitale. Da una parte infiniti spiegoni su come pensa e intende agire l’entità, nemmeno fosse un manifesto ideologico, dall’altra l’azione. Azione ultimativa, nel senso inglese di ultimate, quindi estrema, definitiva. Gli spiegoni guardano al cielo, intrecciano metafisica e luddismo, sono così calcati da rasentare il ridicolo, così ossessivi da rasentare il persuasivo. L’action invece è spettacolo puro, gioia, imprevedibilità, creazione, distruzione: Roma, Venezia, l’Orient Express. Tutto a mille all’ora. Un film di fantasmi che sono corpi tangibili, in primis l’eroico Tom, stuntman di sé stesso, che salta e si lancia e mena e invecchia ma sempre vivrà o che mai è davvero esistito. Un film che sembra prendersi gioco del nostro futuro prossimo, ma che guardando al passato esalta il cinema come creatore di tutti gli infiniti universi possibili.
di Massimiliano Martiradonna