Mio cognato

mio cognato

mio cognatoIl senso profondo di Mio cognato di Alessandro Piva è già anticipato dalla locandina del film che, emblematicamente, pone su una panchina d’ospedale, accanto ad un misterioso limone, Toni Catapano (Sergio Rubini) e Vito Quaranta (Luigi lo Cascio), i due parenti acquisiti, protagonisti dell’intera vicenda.
Se Toni è immediatamente presentato con un completo giallo fuori misura, tutt’uno con il suo temperamento, Vito parla di sé attraverso la rigidità della sua posa, aggravata dal collare ortopedico.
Il tragicomico film di Piva racconta proprio questo: l’incontro-scontro tra due mondi, due filosofie, due modi di essere.
Per buona parte della pellicola, in un universo insensato e kitsch , simile a quello della TV, Vito Quaranta si muove, innocente, come una sorta di “idiota” dostoievskiano dei giorni nostri.
La sua discesa agli inferi, alla ricerca della propria auto rubata, con lo smaliziato cognato, avviene in una Bari chiassosa e colorata, che ricorda, per l’atmosfera volutamente eccessiva, Tano da moriredi Roberta Torre.

mio cognatoL’umanità che popola questa città dalle tinte forti e illuminata da neon e vistose luminarie, è la stessa di LaCapaGira, come dimostra la citazione della bisca di Sabino e Pinuccio, interpretati, come se nulla fosse cambiato, da Dante Marmone e Mino Barbarese. In una cornice del genere, Vito Quaranta appare assolutamente fuori luogo: non a caso gli viene chiesto, in continuazione, se non sia di Bari. Significativamente egli, all’inizio, risponde di abitare a “Poggio Allegro”, un nome da cartone animato, che evoca ambienti ben diversi rispetto a quelli rappresentati. Strada facendo, però, anche il timido Vito finisce per subire il fascino perverso del colorato, caotico, vitale Toni e del suo mondo: all’ alba del nuovo giorno, i due sembrano camminare ormai con lo stesso passo.

E proprio allora si verifica la sorpresa finale…Solo saltando in aria, con la sua macchina ritrovata, Vito riesce, forse, a salvare la sua purezza e a non essere fatalmente contaminato dalla realtà circostante.
Una morale amara per un film più divertente che drammatico, girato in modo classico e con una colonna sonora potente e incisiva; perfetti, come sempre, Rubini e Lo Cascio nel delineare due facce di una stessa medaglia e mostrare “la pentola a pressione che bolle senza valvola sotto di sé, sotto ognuno di noi”.


di Mariella Cruciani
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