May December

La recensione di Michela Manente, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna riguardo a May December, di Todd Haynes, film della critica per l'SNCCI.

May December, di Todd Haynes, distribuito da Lucky Red, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Tra segreti e bugie, realtà e finzione, amori e tradimenti, passati ingombranti e presenti instabili, Todd Haynes traccia una sfida tutta al femminile, che riflette un dramma intenso e ambiguo, in un gioco morbosamente intrigante di specchi e sovrapposizioni, tra una donna dal passato ritenuto scandaloso e una famosa attrice che deve interpretarla in un prossimo film. Moore e Portman al meglio in una tensione sospesa, dove il meccanismo dell’immedesimazione mostra il suo ruolo perverso».

La recensione
di Michela Manente

Una storia molto complessa e umana tanto da volerci fare un film. La nuova pellicola firmata da Todd Haynes, May December, storia di un’opera in produzione sugli scandali e le correlate vicende processuali e umane, è tratta liberamente da un fatto di cronaca vero che aveva scosso l’opinione statunitense trent’anni fa.

Due donne (intenso il confronto attoriale alla pari tra le interpreti Julianne Moore e Natalie Portman), due personalità scomode, di età diverse, interconnesse dalla loro natura manipolatrice in un intrigante gioco degli specchi: da una parte Gracie Atherton-Yoo, un’ex insegnante finita sulle prime pagine dei giornali per una vicenda scandalosa di violenza e stupro ai danni di un minore, di cui non sembra ancora aver capito le dannose implicazioni sugli altri; dall’altra Elizabeth Berry, attrice famosa giunta in sopralluogo a casa della rea in Georgia, per incontrare la famiglia (i due amanti dopo il carcere si erano sposati), l’ex marito e i figli del primo matrimonio e l’ex datore di lavoro, accolta benevolmente da Gracie anche se con un percettibile sospetto.

Sotteso da una colonna sonora originale composta da Marcelo Zarvos, già collaboratore di Haynes per Cattive acque, May December è stato ben accolto per l’eccezionale cast, a Cannes 76, in concorso, ed è stato designato Film della Critica SNCCI. La visione di Todd Haynes è sufficientemente ampia da dare spazio, per divertirsi un po’, al “gioco” del thriller psicologico, senza mai perdere di vista il fatto che al centro della storia c’è il tema del potere e dello sfruttamento: lo sfruttamento di un dodicenne da parte di un adulto e lo sfruttamento di tale sfruttamento da parte di un intruso. Haynes costruisce il film facendo muovere i personaggi a carte “coperte”, per realizzare un dramma sulla rappresentazione del trauma, a cui affida un titolo, May December appunto, che fa riferimento alle coppie in cui la differenza di età è elevata, la coppia degli sposi e la coppia delle due donne, con i segreti e i misteri disvelati, ma mai del tutto, nei 113 minuti dello spettacolo. 

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)

Sin dalla sua presentazione al Festival di Cannes, May December è stato accolto piuttosto positivamente dalla stampa italiana, che lo ha definito uno dei titoli più importanti dell’intera edizione del Festival.

La natura al tempo stesso ammaliante e volutamente ambigua di questo progetto viene messa sotto indagine da Anna Maria Pasetti che, su Il fatto quotidiano, descrive così il lungometraggio: «Specchiarsi in un ruolo, manipolarlo, ribaltarlo, distruggerlo. Il gioco al massacro dell’identità insinuata tra segreti e bugie e camuffata tra realtà e finzione, laddove si nasconde una verità irraggiungibile, è al centro del nuovo gioiello firmato alla regia da Todd Haynes, May December (in sala), sulla sceneggiatura straordinaria di Samy Burch, non a caso candidata ai recenti Oscar».

Anche Federico Pedroni di Cineforum legge il film in questi termini, affermando che «May December è un dramma da camera che, attraverso la messa in scacco di una normalità solamente apparente, racconta – con la consueta intelligenza ed eleganza del cinema di Haynes – l’impossibilità di essere felici e la fascinazione dell’immedesimarsi, del perdersi nel dolore degli altri per soffocare, almeno per un momento, il nostro».

Elisa Baldini, sulle pagine di Quinlan, entra ancora più in profondità nella pellicola, interpretandola secondo una chiave metatestuale in grado di far nascere numerose provocazioni: «Una relazione, una famiglia, la psiche, la rispettabilità borghese, l’immedesimazione attoriale: tutto si regge sulla capacità di raccontare e raccontarsi storie. Prendendo atto (il meno possibile) che nessuna di loro è esaustiva né vera né è in grado di replicare esattamente il mistero dell’atto, la forza sorda della pulsione. Siamo sempre nel linguaggio e nella rappresentazione che sono insufficienti da un lato e portatori di ulteriori significati dall’altro, dunque riproduttori, eterni moltiplicatori».

Sergio Sozzo, su Sentieri Selvaggi, colloca il film all’interno della coerenza autoriale del regista, notando come la sfida ora si faccia più ambiziosa poiché ambigua. Scrive infatti il critico: «L’incessante operazione di catalogazione di generi e canoni portata avanti da Todd Haynes in tutta la sua carriera, riattraversando il linguaggio delle origini del cinema così come il mélo, il biografico, il musical o recentemente il court drama, arriva con May December a toccare quella formula dai contorni sfumati, frequentata soprattutto negli anni ’80 a partire da certi autori come Brian De Palma o Barbet Schroeder e giù giù fino alle produzioni midbudget e a prodotti tv, incentrata su morbose storie di famiglia, doppi conturbanti, segreti piccanti e patine sulle immagini quasi a suggerire le tende socchiuse di una camera da letto».

Gli fa eco Massimo Causo, il quale su Duels ripercorre la carriera del regista notando come May December si inserisca perfettamente nelle sue corde: «Il campo di battaglia è dunque la finzione e la cosa non deve stupire, dal momento che May December è un film di Todd Haynes e il gioco di rispecchiamenti tra vita reale e sua rappresentazione (sociale o finzionale che sia) è materia d’obbligo: Lontano dal paradiso, Io sono qui, Carol ci hanno mostrato la sua abilità nel lavorare sul raffronto tra la facciata della vita e il doppiofondo delle verità più intime, sul confronto tra l’ottica sociale e quella individuale, sul piano inclinato che tiene in bilico la quiete familiare e la realizzazione personale e anche, non da ultimo, sul faccia a faccia tra l’immagine finzionale dell’esistere e la sua matrice reale».

Infine, interessante lo spunto proposto da Pier Maria Bocchi che, nella sua recensione pubblicata su Film Tv, provoca il nostro sguardo con questa proposta: «E se May December fosse un noir? Le due donne non sono dead ringers, tuttavia i moduli della femme fatale sono rispettati. Davanti allo specchio (quanti specchi ci sono, nel film? Quanto sono importanti, gli specchi, nel noir?), Gracie confida a Elizabeth di essere sempre stata naïf, «I always have been. In a way, it’s been a gift », per lei in qualche modo è stato un dono, viversi, vivere la realtà e in seguito metabolizzarla (e archiviarla) con naïveté, però probabilmente l’ingenuità calcolatrice della maniera, della seduzione, della trappola».


di Michela Manente
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