Match Point

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woodyallen-matchpointIl giovane protagonista di Match Point legge Dostoejvski e ama l’opera italiana, in questo modo Woody Allen mette sin dall’inizio le cose in chiaro e indica quale dovrà essere la chiave di lettura del suo film, un giallo filosofico o, meglio, un apologo morale (e amorale) sul destino degli individui, spesso determinato dal caso, e su certi comportamenti contemporanei e negativi (il narcisismo, l’ambizione, il calcolo).

Nel raccontare la storia di un arrampicatore sociale (un istruttore di tennis sposa la figlia di un facoltoso uomo d’affari ed entra così nel gotha dell’alta finanza inglese) e quella della sua possibile caduta (lo stesso istruttore di tennis ha un’amante che lo ricatta), Allen mette da parte ogni suggestione romanzesca e sociologica (in particolare “Una tragedia americana” di Dreiser) e sceglie di mettere in scena una specie di libretto d’opera, dove tutto, scena dopo scena, è didascalico e scontato, dal carattere dei personaggi (ci sono il tenore, il soprano e naturalmente il contralto) alla natura delle azioni che vengono compiute (sottolineate già dalla loro entrata in scena). L’amore o la passione scatta sempre al primo sguardo, e le schermaglie tra i personaggi vengono sempre esplicitate in lunghi e ripetuti dialoghi. Tutto previsto tranne il finale (la pallina da tennis che pencola sul bordo della rete e non si sa da che parte cade). Da Sliding Doors ad Alain Resnais (Smoking – No Smoking), il cinema ha spesso giocato sulla futilità del caso e la vulnerabilità del destino, ma Allen ci aggiunge un quid di cinismo che rende tutto più amaro e malinconico. Non tanto per l’amoralità dell’assunto, perché qui è il “delitto che paga”, quanto per il gioco che innesta con gli spettatori.

Il cinismo di Hitchcock portava spesso a parteggiare anche con chi commetteva delle cattive azioni, qui invece il giovane protagonista di Match Point non coinvolge e ispira solo ribrezzo. Molto pessimista sui tempi bui che viviamo, Allen ci fa assistere impotenti a certi rituali dell’alta società (più chiusa che mai) e soprattutto al prezzo che qualcuno è disposto a pagare per non esserne espulso. E la fortuna è pure dalla sua parte. Di Match Point, salutato in Italia da un’unanimità di consensi critici (assai meno in Usa), meraviglia una certa meccanicità dei passaggi narrativi: a parte la citazione un po’ troppo telefonata dell’omicidio di “Delitto e castigo” o le continue sottolineature con le arie verdiane, c’è il protagonista del film che ogni volta che esce dallo stesso negozio di Cartier (abbiamo contato tre scene) incontra qualcuno. Sembra una gag. Woody Allen dirà che in un’opera lirica lo spazio del palcoscenico è quello che è, ma con il cinema si potrebbe fare di più.


di Piero Spila
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