Marguerite et Julien – La leggenda degli amanti impossibili
Non si conosce molto della storia di Julien e Marguerite de Ravalet, figli del signore di Tourlaville, che vissero in Normandia alla fine del ‘500. Sono passati dalla storia alla leggenda per il loro amore incestuoso che ebbe un esito tragico: giovanissimi, furono decapitati nella Place de l’Hôtel-de-Ville a Parigi.
Negli anni Settanta Jean Gruault trasforma questa vicenda in una sceneggiatura per François Truffaut, ma il grande regista deciderà di non sviluppare il progetto. A tornare sulla vicenda con una coraggiosa e insolita trasposizione cinematografica è stata, a distanza di più di quarant’anni, la regista Valérie Donzelli.
Il film, presentato in concorso a Cannes nel 2015, è un racconto fiabesco che stempera la violenza nel fantastico, e trova la sua chiave espressiva in una assoluta libertà stilistica, che si esplica in un’audace – eppure mai stridente – miscela di epoche diverse, fuse insieme in un amalgama perfetto quanto stravagante. Molto più che un vezzo estetico o un capriccio di stile, questa scelta è necessaria a sottrarre la vicenda al tempo e alla storia per consegnarla al mito rendendola, per così dire, universale. Del resto, il lavoro di regia rispetto alle peculiarità scenografiche non punta mai a enfatizzare con compiacimento l’eterogeneità, ma al contrario mira a plasmare uno scenario quanto più possibile unitario e compatto.
Gli eventi storici offrono già, di per sé, un materiale incandescente e quanto mai letterario (eros e thanatos, un binomio che è in assoluto uno dei topoi più frequentati dall’arte in senso lato); ma la Donzelli, fin quasi al termine del suo romantico racconto, sospende ogni brutalità e mette al bando l’orrore. Che però resta sempre dietro l’angolo, intuito, a volte quasi sfiorato (il ripugnante matrimonio imposto alla giovane Marguerite). Nel complesso tuttavia, per gran parte del film, si assiste a un racconto dai toni pastello, lieve, dolce, che scherza con gli stilemi della fiaba: il castello, quello dove davvero vissero i fratelli de Ravalet; la voce fuori campo, perché tutta la vicenda non è altro che una favola raccontata a un gruppo di bambine che non vogliono dormire; lo zio abate, intollerante e arcigno, “antagonista” tout-court degli eroi positivi ingiustamente braccati e inseguiti.
Ancora, lo sbilanciamento sul lato del romanticismo – fughe a cavallo, arcobaleni, dichiarazioni di fedeltà e amore reiterate – è mitigato da un approccio che tratta questi elementi con consapevolezza e giocosità, “giustificato” dalla cornice fiabesca, e infine bilanciato dalla punta di improvvisa – ma motivata – crudezza con cui sono restituiti, in ultimo, i due elementi oppositivi entro cui tutto si sviluppa: l’eros (inteso qui come amore sensuale, contrapposto all’agape) e la morte. E’ solo in una manciata di scene, infatti, che l’incanto si sospende del tutto per lasciare il posto alla descrizione degli istinti più forti e ineludibili dell’uomo: da un lato la sessualità, messa in scena con asciuttezza, attraverso uno sguardo che non conosce morbosità né indugi, “ripulita” perfino dal languore e dalla poesia dei sentimenti; dall’altro la violenza, messa in atto sui protagonisti con cieco e aberrante cinismo da una società spietata, dominata dalla ferocia e dall’oscurantismo.
La Donzelli insomma non si limita a ibridare ambientazioni e contesti, ma muta continuamente registro, in un raffinato gioco di equilibri fatto di minuscoli tasselli in cui ogni apparente passo azzardato viene poi compensato e bilanciato dal passo successivo, che va in direzione opposta, per salvaguardare l’armonia dell’insieme.
Criticato da più parti, forse per un eccesso di naïveté, forse per quelle disomogeneità che tuttavia appaiono a ben guardare – come detto sopra – volute e ricercate ad hoc, Marguerite e Julien è invece un’opera che, pur con qualche imperfezione, riesce a destreggiarsi tra pericoli non indifferenti: in primis quello di arenarsi nella pesantezza drammatica di un melò fatto di passioni e sangue, rischio che viene eluso a priori in nome della levità; in secondo luogo, l’appiattimento su toni zuccherosi e melensi, che viene scongiurato giocando con il sentimentalismo senza che tuttavia la messa in scena resti incagliata in esso, e grazie a una studiata “anarchia” estetico-stilistica che non teme di osare.
Trama
Marguerite e Julien sono due fratelli uniti da un affetto particolare, che man mano si trasforma in un amore appassionato, malgrado la famiglia tenti di separarli con ogni mezzo. I due amanti non si arrenderanno neppure quando la ragazza verrà costretta a un matrimonio forzato; al contrario, decideranno di rischiare tutto pur di poter vivere il loro amore.
Arianna Pagliara
di Arianna Pagliara