Marcia su Roma

Giuseppe Ghigi recensisce "Marcia su Roma", il nuovo film di Mark Cousins, presentato a Venezia 79 come evento speciale delle Giornate degli Autori.

Un imbarazzato Donald Trump apre Marcia su Roma di Mark Cousins. L’ex presidente non sa come giustificare l’uso di frasi di Benito Mussolini nei suoi comizi: «Sono citazioni interessanti. Ho 14 milioni di followers», dice. Può sembrare inconsueto aprire un docu-film su quanto accadde a Roma il 28 ottobre 1922 con un intervista a Trump, ma per il regista non è così: «Quello a cui abbiamo assistito il 6 gennaio dello scorso anno a Capitol Hill mostra che la democrazia non è mai al sicuro, è fragile ed è sempre esposta al rischio di aggressioni, e nuove marce su Roma sono sempre possibili, com’è stato possibile quella sul Campidoglio a Washington, un vero evento fascista. Non c’è un vaccino che protegga per sempre la democrazia, dobbiamo difenderla».

Da Trump si passa alle immagini girate da Umberto Paradisi dapprima a Napoli, per documentare il raduno delle squadre fasciste, e poi a Roma, dopo che il Re ne ha permesso l’entrata in città. Quelle immagini diventeranno nel 1923 A Noi, documento ufficiale del partito Fascista, e un esempio di manipolazione cinematografica della realtà che farà scuola durante il Ventennio.

Cousins, con l’aiuto di Tony Saccucci che ha dissezionato il filmato, nella prima mezz’ora ci svela filologicamente come si siano modificati o ripetuti alcuni piani delle riprese di Paradisi con un montaggio che gonfia le sfilate dei fascisti a Napoli e Roma, la folla davanti al Quirinale che attende Mussolini, e modifica l’omaggio del futuro duce all’Altare della Patria che viene anticipato di una settimana. Questa è l’operazione più interessante del film di Cousins e anche la più corretta rispetto ad un documento della Storia. Non un montaggio delle immagini ad uso e consumo del parlato, come accade quasi sempre nei documentari che utilizzano filmati d’epoca, ma l’analisi e la collocazione storica del reperto.   

«Quello che si stabilisce – dice Cousins – è lo “sguardo coloniale” del fascismo e del suo cinema. Ci sono le masse e non gli individui, e le masse devono soggiacere alla propaganda. Chi vuole prendere il controllo del potere sa naturalmente che il cinema è uno strumento straordinario: trasgressivo, immediato e convincente perché sa nascondere i suoi meccanismi. Smontando A Noi fotogramma per fotogramma, ho mostrato come Paradisi e di conseguenza i fascisti abbiano manipolato la realtà di quell’evento».

Ma a questo, che sarebbe sufficiente a far valere il lavoro del regista, segue un più confuso sviluppo. Ad Alba Rohrwacher, ad esempio, assegna il ruolo di una donna italiana qualsiasi, che è dapprima convinta che Mussolini riporterà ordine nel Paese e che a poco a poco capisce di essere caduta preda di manipolazione e di false illusioni. «Avevo bisogno di alternare le immagini delle masse care al fascismo ad un primo piano di donna, di un individuo che guarda direttamente negli occhi gli spettatori, ma quello che Alba dice non è frutto di invenzione ma di ricerche storiche. Molte donne italiane caddero nell’illusione, ma anche molte dovettero ricredersi». È vero, ma i siparietti di Rohrwacher risultano artificiosi e persino banali.

Cousins non si ferma poi a Mussolini e al suo tempo, ma nel film cita politici considerati dal regista pericolosi come Bolsonaro, Orbán, Xi Jinping, e mostra un’immagine di Giorgia Meloni al fianco di Putin, cosa che ha provocato la dura reazione del presidente di FdI, Federico Mollicone, che ha definito il documentario “un improprio strumento di propaganda che altera la par condicio della campagna elettorale”. Evidentemente è un immagine scomoda.

«Io sono irlandese e non voto in Italia – si difende il regista – ma il modo in cui la Meloni ha parlato a Vox in Spagna, dicendo “No Lgbt, sì all’universalità della Croce”, io credo sia azzardato perché mina la sicurezza delle minoranze e ci riporta ai tempi delle crociate del primo millennio. La Meloni ha detto di non essere fascista e non è pericolosa come Mussolini, ma usa un linguaggio che esprime idee pericolose».

Cousins torna poi al fascismo con più precisione quando racconta il decisivo ruolo della Massoneria italiana nel delineare il percorso che portò il futuro Duce al potere, sia finanziandolo direttamente che convincendo il Re a ritirare l’ordine di assedio e ad assegnare  a Mussolini l’incarico di primo ministro. O quando mostra il rispetto di alcuni statisti dell’epoca, Churchill ad esempio, per Mussolini: «Stiamo assistendo a una rivoluzione bella e giovane» dichiara l’ambasciatore americano in Italia.

A smontare il filmato di Paradisi, le immagini contrapposte del film Il Potere di Augusto Tretti del 1972, con un gruppetto di fascisti dai piedi doloranti che marcia su Roma; grottesco, ma più vicino alla realtà, perché se si analizzano le parti di A Noi girate il 28 ottobre nella capitale risulta evidente che i “gloriosi” erano una innocua massa di divertiti personaggi, armati di qualche randello, che qualsiasi drappello dell’esercito avrebbe potuto fermare facilmente. Il Re non volle, e per ventidue anni quei marciatori scalcagnati governarono il Paese. Chiudono il film, le note di Bella ciao. Inutilmente.


di Giuseppe Ghigi
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