Manchester by the Sea

Scivolano via fluenti e credibili i dialoghi di Manchester by the sea, alternandosi sapientemente ai silenzi che corrispondono ai vuoti dell’anima, ai paesaggi suggestivi malinconici fatti di mare e neve, ai gesti grandi e piccoli che esprimono rabbia, tenerezza o semplicemente quotidianità. La sceneggiatura è costruita con intelligenza, la regia sta attenta a non sovraccaricare una storia decisamente a tinte forti. Gli attori sono, semplicemente, perfetti. Casey Affleck, che ha buone possibilità di conquistare l’Oscar come migliore attore protagonista (in tutto il film ha sei nomination “pesanti”), è stupefacente, apatico ma espressivo, dolente e capace di bagliori di umanità. Lo si apprezza ancora di più nella versione originale del film, ascoltando come strascica le parole, formando una sorta di cantilena che restituisce il tratto depressivo del protagonista. Michelle Williams (candidata alla statuetta come non protagonista), con la sua carica sensuale e la disperata vitalità, è un’apparizione indimenticabile. E ben assortito è il resto del cast, con Kyle Chandler (finora conosciuto soprattutto per le sue interpretazioni televisive) nel ruolo di Joe e il giovane Lucas Hedges (candidato anche lui) adolescente sospeso fra dolore e febbre di vivere.

Manchester by the sea ha dunque ha molti meriti, ma va davvero considerato un capolavoro? Si tratta di un buon film, ottimo se vogliamo, ma a nostro parere manca qualcosa per farlo volare davvero in alto. Forse la stessa sobrietà che impronta le scelte stilistiche del regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan finisce troppo spesso per “raffreddare” l’insieme, portando il film lontano dalla dimensione del melodramma che, seppur piena di insidie, è in grado di regalare emozioni profonde nelle mani di un realizzatore in stato di grazia. Lonergan sceglie invece soprattutto di concentrarsi sul ritratto di un uomo ferito, piegato dalla vita e conscio che non potrà mai più rialzarsi davvero. La storia di Lee e della sua discesa in un tranquillo inferno di solitudine e risse occasionali è raccontata con il ricorso a continui flashback, con un procedimento che finisce per essere un po’ meccanico e semplicistico. Nella scena che spiega come Lee è diventato l’uomo spento di oggi le scelte musicali sono troppo facili (grandi pezzi classici riarrangiati) e alcuni passaggi narrativi sono liquidati troppo in fretta nonostante i non pochi 135 minuti di durata.

Vale comunque la pena di vedere Manchester by the sea e stare a vedere come finirà la sfida fra il musical del momento La La Land e i suoi “piccoli” sfidanti, fra cui quest’opera di Lonergan che, debitore a tanto cinema indipendente americano, sembra a volte ricordarsi delle atmosfere di certi film di John Sayles (ad esempio Limbo). Ammirevole la ricerca di un finale che non vuole essere lieto a tutti i costi. Ma comunque abbastanza lieto e furbo da pacificare l’animo dello spettatore.

TRAMA

Il quarantenne Lee Chandler, schivo e abitudinario, vive a Boston dove lavora come tuttofare. Un giorno è costretto è tornare nella sua città natale, Manchester in Massachusetts, perché il fratello Joe, da tempo sofferente di cuore, è morto lasciando un figlio adolescente, Patrick. Con stupore e disappunto Lee scopre di essere diventato il tutore legale del nipote. I rapporti con il ragazzo non sono facili e nei suoi luoghi di origine Lee sente ancora più forte il dolore per la tragedia che anni ha distrutto la sua felicità, allontanandolo dalla amata moglie Randi.


di Anna Parodi
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