Mal di pietre

Francia, anni Quaranta. Gabrielle vive in un piccolo villaggio circondato da immensi campi di lavanda. E’ giovane, bella e tormentata da un’irrequietezza profonda che non riesce a placare in alcun modo, a meno di non trasgredire tutte quelle convenzioni sociali secondo cui nessuna donna può esprimere liberamente la propria femminilità e la propria sessualità. Per i genitori, la ragazza è costante motivo di imbarazzo e scontento; il maestro del villaggio – al quale lei si offre senza remore – la rifiuta perché spaventato e scandalizzato da una lettera d’amore troppo esplicita. Gabrielle si sente soffocata, prigioniera, annichilita, e una sera finisce per affacciarsi nuda alla finestra permettendo ai braccianti di ritorno dal lavoro di ammirare la silhouette del suo giovane corpo perfetto.
Ma la trasgressione costa cara, e presto le viene imposto un marito allo scopo di “normalizzare” una situazione divenuta troppo sconveniente. La scelta cade su Josè, un contadino spagnolo paziente e taciturno, che accetta di sposare la stravagante ragazza forse perché così bella, o forse semplicemente in mancanza di altre prospettive. Gabrielle, invece, non ha alternative, se rifiuta verrà internata a Marsiglia.
Ma oltre all’inquietudine del desiderio c’è qualcos’altro che la affligge: il mal di pietre, i calcoli renali di cui soffre che la tormentano con terribili dolorosi spasmi e a causa dei quali perderà il bambino che porta in grembo. Per curarsi, dovrà trascorrere un lungo periodo in una clinica sulle Alpi dove incontrerà Andrè, un reduce di guerra forse prossimo alla morte.
Come spiriti affini, Gabrielle e Andrè si riconoscono, perché condividono un malessere interiore a tratti lacerante: la disillusione sorda, il senso invincibile di inadeguatezza, la consapevolezza che la resa è impossibile e tuttavia inevitabile. Per lei, sarà la realizzazione di un sentimento amoroso traboccante di erotismo, da sempre vagheggiato e mai sperimentato; la liberazione finale di un istinto quasi animalesco che il mondo intero le ha imposto – in un modo o nell’altro – di nascondere e reprimere.
Mal di pietre è come un grande romanzo, ricco, denso e coeso, e denuncia la sua ascendenza letteraria (l’autrice del libro omonimo da cui il film è tratto è l’italiana Milena Agus) nella solidità della sceneggiatura che lo sorregge. Ponderato e credibile è il ritratto psicologico-emotivo della protagonista, ottimamente interpretata da Marion Cotillard: esempio perfetto di una femminilità impossibile da imbrigliare e omologare, costretta a pagare sulla propria pelle il prezzo della ribellione.
Tuttavia la disobbedienza di Gabrielle non è il frutto di una scelta mediata e meditata, ma la conseguenza di un’istintualità troppo forte da sopprimere, esacerbata da quel contesto sociale che etichetta calcolatamente come follia qualunque forma del sentire e dell’agire – soprattutto se femminile, o meglio proprio in quanto femminile – che oltrepassi un confine (arbitrariamente) prestabilito.
Interessante e per nulla scontato è poi l’epilogo del film, che imprime al racconto una svolta inaspettata mettendo in discussione la (presunta) oggettività del punto di vista del regista/narratore. Intersecando diversi piani di lettura, Mal di Pietre si svela dunque infine come un riuscito tentativo di indagine degli abissi della psiche che – sotto l’influsso deleterio e oppressivo di tutta una serie di condizionamenti esterni – rimuove, censura e sostituisce per non lasciarsi annientare.
La regista Nicole Garcia, forte della bravura degli attori (Louis Garrel e Alex Brendemühl affiancano la Cotillard), dell’attenzione alla ricostruzione degli ambienti e alla resa cromatica e luministica, firma insomma un’opera impeccabile ed estremamente curata, che pur muovendosi entro coordinate note e più che collaudate riesce peraltro a non essere prevedibile.
Trama
In un villaggio del sud della Francia, negli anni Quaranta, Gabrielle è una giovane donna che fa parlare di sé perché, trasgredendo qualunque convenzione sociale, non si fa scrupolo di palesare apertamente i propri sentimenti e i propri desideri sessuali. Di fronte alla prospettiva della reclusione in manicomio, accetta di sposare l’uomo che la famiglia le ha imposto, un giovane contadino spagnolo, paziente e taciturno.
di Arianna Pagliara