Madre!

Darren Aronofsky è uno di quegli autori (o presunti tali…) capaci di suscitare solo due tipi di reazioni antitetiche sia nel pubblico che nella critica: venerazione cieca con tendenza al fanatismo o irrefrenabile irritazione spesso passibile di degenerare in aperto rifiuto. Con questo suo ottavo lungometraggio da regista e sceneggiatore — sbeffeggiato a Venezia dov’era in concorso e bistrattato dalla critica in patria — il rischio è che gli aficionados del suo cinema rarefatto e volutamente cerebrale si assottiglino pericolosamente e che aumentino invece a dismisura le legioni dei detrattori, stanchi di film che somigliano troppo a deliri di cui non si capisce la ragione di essere.
In Mother!, drammone psicologico con venature stonate da horror-thriller sgonfio, succede proprio questo: dopo venti minuti iniziali quasi intriganti che introducono le figure dei due protagonisti rendendoli misteriosi proprio per la mancanza di informazioni sulle ragioni del loro essere e agire, la sceneggiatura perde completamente ogni rapporto con la benché minima traccia di verisimiglianza logica e deraglia verso tangenti narrative impazzite che la infarciscono di elementi del tutto estranei convertendo il tutto in un pappone insipido in cui Aronofsky infila di tutto e di più come se fosse una centrifuga di temi e non un soggetto intorno al quale allestire un film.
Tutto ruota intorno a una coppia molto sui generis di cui sappiamo pochissimo (al punto che ne vengono taciuti anche i nomi). Lui è un poeta sui cinquant’anni in crisi di ispirazione e afflitto da un costante senso di horror vacui che lo congela nell’impasse della pagina bianca. Lei, che di anni ne ha la metà, è la moglie devota e innamorata che, oltre a essere la Musa presunta di una poesia in stallo da troppo tempo, sta ricostruendo pezzo per pezzo la grande casa coloniale sperduta in un nulla fuori di ogni possibile localizzazione geografica nella quale il marito ha sempre vissuto e che è andata distrutta da un terribile incendio evocato nella sequenza iniziale.
Fin qui tutto bene. Se non fosse che dopo venti minuti un primo evento imprevisto scombussola quello che poteva sembrare l’esordio di un classico dramma piscologico con coppia falsamente felice e vistosi scheletri negli armadi da usare come grimaldelli per tenere desta l’attenzione dello spettatore. Due estranei bussano alla porta. Nessuno nel mondo normale li farebbe entrare, ma il Poeta — che ha sete di attenzione e di umanità da cui trarre ispirazione — non solo li accoglie felice ma li ospita per tutto il tempo che desiderano. La moglie, come chiunque in sala, reagisce basita ma abbozza per amore.
Tutto precipita in fretta. Dopo una serie di sconcertanti eventi che indurrebbero chiunque a mettere i due intrusi alla porta, sulla scena irrompono i figli della coppia i quali danno la stura a una faida di famiglia destinata a culminare in un fratricidio con dettagli gore da horror di serie B. E quello è solo l’inizio della sarabanda che la sceneggiatura ammannisce da quel momento in poi.
Dopo che la Lei rimane incinta e col pancione a vista (ecco una spiegazione possibile del titolo vagamente sibillino) regala al marito Poeta quella scintilla che gli rinfocola il furore lirico facendogli scrivere e pubblicare un poema che diventa oggetto di culto, la casa viene invasa da torme di presunti adepti che con la scusa di venerare l’Autore, devastano la casa in un crescendo senza freni destinato a deflagrazione totale (col pirotecnico rogo finale che chiude il cerchio riportando alla sequenza di partenza come in un Monopoli scritto dal fratello scemo di Roman Polanski sotto anfetamine).
Deciso e determinato a regalare al suo pubblico l’Opera-mondo che riassuma l’universo e tutto il raccontabile nella parabola greve di allegorie di un Adamo e di una Eva portatori sani di messaggi di speranza per l’umanità tutta, con questo indigeribile Madre! il regista de Il cigno nero e di The Wrestler non riesce a confermare quella componente che ha fatto innamorare del suo cinema quanti ne hanno amato il meglio: e cioè la capacità di far sì che il pubblico si immedesimi nelle odissee esistenziali dei personaggi messi in scena. Al punto da diventare quei personaggi stessi pur essendone solo testimoni delle umane traversie.
Qui invece non interessa a nessuno se il Poeta riesca o meno a ridestarsi dal suo torpore o se la Lei ne contribuisca al risveglio lirico restituendogli col duro lavoro manuale quella casa che il Destino gli voleva togliere e ridandogli fiducia nella Vita col figlio che porta in grembo. Anche perché in tutta la seconda parte non sono queste le tensioni centrali del film, il cui baricentro ondeggia pericolosamente col procedere dei minuti e col crescendo delirante di sanguinolente scene in accumulo dal momento in cui la casa (a sua volta faticosa allegoria materna perché grembo accogliente in sé e per sé) inizia a subire l’invasione di folle urlanti che devastano tutto come cavallette veterotestamentarie.
Il grandguignol indigesto della seconda ora (in un film che sarebbe già parso ridondante se la sua durata fosse stata ridotta di almeno quaranta minuti) sembra un elenco forsennato di tutto quello che è bene inserire in un soggetto per farne sembrare l’autore un vero Autore doc. Come se non bastassero le fumisterie della prima parte, ecco accavallarsi riferimenti biblici (Caino e Abele nel fratricidio gore) segno di una digestione difficile del dopo Noah, goffi riferimenti all’integralismo e al terrorismo del califfato, critiche alla società di massa e all’omologazione dei social media, il tutto condito da deliri new age sul riscaldamento globale e sulle offese che gli umani arrecano al pianeta.
Davvero troppo per un regista che sembra aver smarrito se stesso e che dopo questo pasticciato bric-a-brac cinematografico (nel quale si vorrebbero citare il Bunuel de L’angelo sterminatore e lo Zemeckis de Le verità nascoste con tocchi alla Shamalyan ma che finisce solo col far sperare che i titoli di coda arrivino a salvare dallo sfinimento) farà davvero molta fatica a scrollarsi di dosso l’etichetta di Autore sopravvalutato. Un Autore qui riuscito anche nell’impresa quasi impossibile di svilire una coppia di superstar da Oscar del calibro di Jennifer Lawrence e Javier Bardem, visibilmente a disagio in più di una delle moltissime scene involontariamente ridicole che ne rendono tragicomica la performance.
Trama
La vita di una coppia molto sui generis (Lui poeta in crisi di ispirazione e afflitto da un costante horror vacui, Lei dolce e materna ma decisa nell’impresa di ridare la gioia di vivere al proprio compagno ricostruendogli pezzo per pezzo la casa distrutta da un incendio e regalandogli l’ipotesi di una famiglia) viene sconvolta da una sorta di mini Apocalisse domestica destinata a scombussolare per sempre il nido protettivo edificato con tanta fatica.
di Guido Reverdito