L’ora di religione
I paradossi della santità contro i valori di chi dubita e non si rassegna. Sembra questo lo scenario in cui si sviluppa L’ora di religione di Marco Bellocchio, film spirituale e laico insieme, tra i più moderni e coinvolgenti degli ultimi anni. C’è chi non sopporta l’idea dell’onnipotenza di Dio e chi nega addirittura la sua esistenza, chi vive per l’eternità e chi non sa affrancarsi dalla misura del quotidiano. Tra loro nessuna possibilità di conciliazione, nessun terreno di confronto.
Ernesto, un pittore in crisi coniugale e artistica, viene messo all’inizio del film di fronte a una notizia dirompente: a sua insaputa (lui è ateo) è stato avviato un processo di beatificazione della madre, uccisa molti anni prima da uno dei figli, ora rinchiuso in manicomio criminale. Per Ernesto è un problema di coscienza (rendersi complice di un evidente raggiro affaristico) ma anche etico, perché lo costringe a fare i conti con domande che credeva superate. Da quel momento in poi sarà protagonista di una serie di soprassalti morali e colpi di scena.
Partecipa a balli in maschera che sembrano usciti dai dipinti di Goya, viene ricevuto da un cardinale che lo chiama a testimoniare sul martirio della madre, riparla con alcuni esponenti della sua famiglia (zie bigotte e arriviste, fratelli ex terroristi ora convertiti), viene sfidato a duello e, soprattutto, si innamora di una bellissima e misteriosa ragazza sedicente insegnante di religione del figlio. Ernesto non crede alla santità della madre, non per il gioco di interessi che vi scorge dietro, ma perché nell’atteggiamento che si vuole beatificare vede la passività di chi nella vita è indifferente, impotente, senza amore. Molto meglio spendersi, magari sbagliare, ma generosamente. Sono tanti i modi per farlo: basta inventarsi un amore quando tutto sembra perduto («è la forma di ateismo più alta che posso permettermi», dice il protagonista), oppure dare corpo alle utopie della propria arte.
Come in un sogno prolungato, Ernesto si ritrova a fare i conti con il ricordo materno, e anche con la Famiglia (rifugio di malesseri e veleni), la Religione (quella istituzionale e quella più intima e privata), lo Stato (qui rappresentato dalla sagoma incombente dell’Altare della Patria). Per lui il risultato è tirarsi fuori dal coro, disertare, scegliere di essere coerente. Mentre la sua famiglia si avvia trionfante all’udienza papale, Ernesto, da solo, accompagna il figlio a scuola. Sembra poco ed è invece tantissimo.
Piero Spila
Il travaglio e l’orgoglio
di Mariella Cruciani
L’ultimo film di Marco Belloccio è un’opera perfetta, bellissima, di quelle che non si vedevano più da tanto tempo.
Il regista di iI pugni in tasca porta sullo schermo il travaglio e l’orgoglio di Ernesto (Sergio Castellitto), un pittore alle prese con “il sorriso della madre”, come recita il sottotitolo del film. Il sorriso in questione è quello di chi crede di avere il figlio in pugno solo perché l’ha messo al mondo o di chi insegna a non bestemmiare, senza spiegare, però, perché e a posto di cosa.
Insomma, la genitrice di Ernesto, dal sorriso senza passione, lungi dall’essere una santa, come pretenderebbe la gerarchia ecclesiastica, ha, in realtà, assassinato Egidio (Donato Placido), l’altro figlio, causandone la follia.
Sono, ancora una volta, la mancanza d’amore e la bruttezza a provocare la malattia. In questo senso, il finale del film in cui Ernesto, al computer, distrugge il Vittoriano , per crearvi un ambiente “altro”, rappresenta una vera e propria catarsi.
Il protagonista, anche se faticosamente e dolorosamente, riesce ad affermare una personale concezione del mondo, ben distante da quella di coloro che vorrebbero convertirlo, ossia farlo diventare un peccatore, un ipocrita, uno come loro.
L’ora di religione è, dunque, il punto di arrivo di un artista che, come grida il suo alter ego Ernesto alla zia senza scrupoli (Piera Degli Esposti), sembra essere riuscito davvero nella titanica impresa di “mandare a fare in culo padri e madri”.
Detto ciò, il film non è affatto, come si potrebbe pensare, un freddo lavoro a tesi, bensì un’autentica e compiaciuta dichiarazione di libertà e autonomia da parte di chi è riuscito a impadronirsi, nonostante fantasmi familiari e condizionamenti sociali, della propria esistenza.
Un’operazione non da poco, un esempio per tutti.
Mariella Cruciali
di Piero Spila