Libere

E’ una lunga storia, anche se quasi sempre poco indagata dagli studi ufficiali,  quella che vede protagoniste  le “donne ribelli”  italiane e le loro lotte contro miseria e oppressione. A volerla ripercorrere, se ne potrebbero rintracciare diversi momenti salienti: dagli eccidi, anche di donne e bambini, che spazzarono via i Fasci dei lavoratori siciliani a quelli ordinati dal generale Bava Beccaris (che ne ebbe ottima ricompensa) durante i moti di Milano del maggio 1898; dalle lotte per la pace e contro il carovita durante la prima guerra mondiale (basterebbe ricordare la rivolta armata per il pane di Torino dell’agosto 1917 e l’azione della coraggiosa sindacalista socialista Maria Giudice) e dopo, segnatamente nel cosidetto “biennio rosso” alla vigilia della marcia su Roma, quando le donne fiancheggiarono in vari modi l’occupazione delle fabbriche al Nord e dei latifondi incolti al Sud.

Ma il ruolo delle donne fu certamente più che mai rilevante, se non decisivo, nella lotta di liberazione dal nazifascismo: ed è questa la Storia che ci racconta oggi Libere di Rossella Schillaci, documentarista di talento (riconosciuto anche all’estero) che in una filmografia lunga quasi venti anni ha affrontato i temi sociali e politici  cruciali della contemporaneità (la difesa dell’identità culturale, il dialogo tra le culture, i confini, le migrazioni, le carceri) con sguardo empatico, mai distaccato, ma al tempo stesso lucido e analitico, retaggio forse dei suoi studi di antropologia visiva.  Il film – uscito grazie a Lab80  in alcune sale indipendenti italiane in coincidenza con l’anniversario del 25 aprile – attinge e rielabora sapientemente immagini e audio originali d’archivio provenienti in maggior parte dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza – ANCR, che è anche produttore del film (da una idea di Paola Olivetti).

E’ però una storia double face, che la Schillaci  ci restituisce anche nei suoi risvolti più amari,  lontano da ogni approccio retorico o intento agiografico. Perché, come ci ricorda l’opera, non soltanto il ruolo attivo, ai più diversi livelli,  delle donne (dall’8 settembre ’43 alla Liberazione)  fu riconosciuto e valorizzato a pieno a distanza di molti anni, ma, ancor peggio, il ritorno alla libertà e poi alle forme democratiche nel nostro paese segnò un ripiegamento delle loro conquiste e un vero e proprio tradimento del loro impegno e in tanti casi del loro sacrificio (“una restaurazione e non una liberazione” come dice una delle testimoni). Se i partigiani vennero  discriminati – dopo il ’45, nelle fabbriche si preferiva assumere gli ex fascisti piuttosto che loro, considerati potenzialmente sovversivi –  anche le donne partigiane dovettero lasciare nuovamente i posti di lavoro, conquistati e difesi con grande fatica,  e far ritorno al focolare domestico. “Il fascismo (l’eterno fascismo italiano”, avrebbe detto Pasolini) è rinato subito”, aggiunge un’altra donna; la burocrazia del regime era rimasta sostanzialmente immutata e a comandare, nella società  sarebbe stata ancora a lungo, almeno sino al ’68, la triade “padri, mariti, sacerdoti” (questi ultimi poi, come si sa, influenzarono a lungo, tra lusinghe e anatemi, il voto popolare, anche quello finalmente concesso alle donne nel marzo del ’46…). Anche partiti e sindacati di sinistra continuarono a essere guidati dagli uomini, i quali ebbero però l’idea di creare al loro interno le “sezioni femminili”, dei veri e propri “ghetti” che avrebbero escluse per molto tempo le donne (tranne rare eccezioni) da posizioni dirigenziali.

Certo,  sin dai titoli di testa e per lunga parte, Libere ci mostra la forza serena e i sorrisi delle donne: donne che avevano studiato, ma in maggioranza operaie, contadine, semplici casalinghe, che a un certo punto della loro vita abbandonano le loro famiglie e il loro ruolo sociale, in molti casi diventano “staffette” e rischiano la vita trasportando per decine di chilometri, a piedi o in bicicletta,  messaggi o ordigni per i resistenti nascosti tra le montagne o nelle campagne. In questa scelta di vita, nella consapevolezza di essere dalla parte giusta, trovarono – così ci confessano –  un senso  di pienezza e una felicità che non avrebbero mai più provato, insieme al coraggio per superare la paura e andare avanti. La cavalcata tra le immagini d’archivio e le voci delle protagoniste attraversa le devastazioni della guerra, gli orrori dei lager, la miseria assoluta e l’assillo delle cimici, la fame e gli scioperi per il “pane e la pace” (e pensiamo qui a Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, il bellissimo libro di testimonianze scritto da Miriam Mafai nel 2008), sino alle grandi esplosioni di gioia, nonostante i lutti e le devastazioni, della Liberazione.

A connotare in senso autoriale il lavoro della Schillaci vi sono delle precise scelte stilistiche e narrative. Se la memoria dei martiri della Resistenza è affidata oggi (ai tempi delle spending review) soltanto a lapidi e toponomastiche via via più sbiadite e spesso illeggibili,  in Libere la memoria è cosa assai concreta e tangibile, analogica certo, ma soprattutto ben conservata e curata, grazie anche ai “gesti delle mani” che scandiscono il racconto e sono quelle di un’archivista che cerca e trova le tessere del puzzle tra i materiali più disparati:  bobine di pellicola , nastri magnetici, articoli e microfilm di quotidiani,  fotografie e documenti privati,  manifesti e volantini, filmati d’archivio, dai cinegiornali ai filmini amatoriali, ma anche relazioni e documenti politici, “pizzini” e fogliettini, ecc. Vi è poi la scelta di offrire le testimonianze  solo come voci fuori campo lasciando al bellissimo finale  il compito di associare nomi e storie a quelle voci. Tra le testimonianze delle donne “pubbliche”  si segnalano quelle di Ada Gobetti, Giuliana Gadola Beltrami, Marisa Rodano, Bianca Guidetti Serra, Joyce Lussu (a quest’ultima Marcella Piccinini  aveva dedicato di recente il bel documentario La mia casa e i miei coinquilini). Le voci di quelle donne, come pure di quelle “comuni” giungono così a noi nella loro essenza, chiedendo una attenzione assoluta e priva di distrazioni. Fortemente evocative risultano le musiche originali di Giorgio Canali  (anche se a tratti sembrano aggiungere un surplus di inquietudine) e il contributo di Milva che canta “Oltre il ponte”, da un testo di Italo Calvino.

In definitiva, Libere è come un’altra lezione di storia che il cinema d’autore italiano di oggi (di finzione o documentario che sia) si incarica di offrire, sopperendo in parte anche ai limiti e alle difficoltà della scuola e dei cosidetti “corpi intermedi”. Come Noi credevamo di Martone ci aveva  fatto capire quanto il fallimento dell’epopea risorgimentale aveva le sue radici nel tradimento della “questione meridionale”,  anche in questo film brilla l’assenza di una metà d’Italia, a sud di Roma, e questa assenza ci fa comprendere i limiti di fondo di una liberazione che per larga parte d’Italia non frenò  il banditismo,  le sirene dell’indipendentismo, il potere delle mafie,  l’emigrazione. Una storia che in molti casi abbiano dimenticato e rinnegato (lo dimostra il nostro atteggiamento verso i migranti)  e che solo i giovani (uomini e donne) ci ricordano oggi riprendendo (spopolando e impoverendo ancora di più soprattutto il Sud) la strada che li porta via dall’Italia, certo  in uno scenario assai diverso, ma ancora una volta in lotta e in fuga, verso l’autonomia, il riscatto, l’emancipazione. Verso la libertà insomma, oggi come settanta e più anni fa.

Trama

Qual è stato il ruolo delle donne nella Resistenza italiana? Cosa ha significato per loro quel periodo di lotta ed emancipazione e cosa hanno ottenuto al termine della guerra? Libere è un racconto che si fonda sulle voci delle stesse donne, grazie al recupero di testimonianze originali e immagini storiche. Attraverso il montaggio dei materiali d’archivio e gli estratti delle interviste di venti partigiane, realizzate negli ultimi quarant’anni dall’ANCR e da altri istituti di ricerca, emerge una nuova visione del periodo della Resistenza e del primo dopoguerra, a cui si fa risalire la prima vera nascita del femminismo.


di Sergio Di Giorgi
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