L’esorcista: la genesi

l'esorcista: la genesi

l'esorcista: la genesiL’improvvisa morte del regista John Frankenheimer prima dell’inizio delle riprese, a Cinecittà, ha complicato più che mai la vita di uno dei film dalla lavorazione più travagliata della storia. La Genesi infatti doveva essere l’indispensabile prequel che avrebbe spiegato perché proprio l’anziano Padre Lankester Merrin si ritrova a fronteggiare a Georgetown negli anni ’70 la possessione, da parte di un terribile dèmone assiro – babilonese, della povera Regan McNeal. Perchè proprio lui che all’inizio dell’originale film di William Friedkin si ritrova faccia a faccia con la statua del demonio durante degli scavi archeologici in medio oriente. Eppure partendo da un soggetto a firma di Caleb Carr e William Wihser i produttori della Morgan Creek, che sin dall’inizio hanno dichiarato esplicitamente di volere un prodotto vicino all’action movie e all’horror gore, hanno affidano la regia del film a quelPaul Schrader che il mondo ha imparato ad apprezzare come bravo regista ed ad amare come grande sceneggiatore. L’autore di Taxi Driver ha diretto il capitolo quattro di questa saga con grande ispirazione, traendone un’opera di grande fascino metafisico, con poco sangue e molta paura. Ciò non è stato gradito dalla Morgan Creek che ha deciso, a costo di rimetterci un capitale, di far interamente rigirare il film da Renny Harlin (Driver, Cliffhanger, Nightmare 4, Die Hard 2) regista da videoclip che ha fatto riscrivere il copione e fatto spendere alla produzione più soldi per il make up. Il risultato ce lo siamo trovati davanti il 12 novembre 2004 distribuito in pompa magna dalla Eagle Pictures.

L’Esorcista – la genesi è un film decisamente inferiore alle aspettative. Stilisticamente esaltante, con una stupenda ambientazione africana resa cupa e spettrale dalla scenografia del nostro Stefano Maria Ortolani e soprattutto dalla fotografia del maestro Storaro, patisce un fastidioso uso di regia e montaggio da fumettone alla Van Helsing e un cast artistico che, se non fosse per il solo Stellan Skarsgard (Padre Merrin), ne farebbe un b – movie dalle superbe pretese. Siamo negli anni ’50, appena dopo la fine della terribile seconda guerra mondiale, un uomo che ha perso la fede: l’archeologo e prete Lankester Merrin, viene assoldato da un ricco collezionista francese per ritrovare in Africa la reliquia di un dèmone assiro – babilonese che, con tutta probabilità, si troverebbe in una chiesa bizantina (???) ritrovata da poco durante degli scavi in Kenya. All’inizio titubante, Merrin, accetta l’offerta fattagli in virtù della sua profonda crisi esistenziale in seguito agli orrori visti durante l’occupazione nazista. Giunto in Kenya si troverà a fare i conti con la popolazione locale visibilmente spaventata da ciò che accade fuori e dentro la chiesa. L’archeologo che seguiva gli scavi è impazzito dopo esservi entrato, terribili iene assaltano il villaggio uccidendone gli abitanti, alcuni membri della spedizione soffrono di strane malattie cutanee mentre altri a volte cadono preda di attacchi epilettici. Merrin insieme alla dottoressa ebrea Sarah Novack (l’insipida Isabella Scorupco) cerca di fare luce sul mistero mentre altri fatti strani si susseguono al villaggio e nella cripta della chiesa ritorna dal mare del tempo, come un nero fantasma di sabbia e pietra, la statua di Pazuzu: il dio alato che orami nella saga de L’Esorcista è identificato come il demonio.
Con tanto di doppia finale, a sorpresa, La Genesi è un film che si lascia guardare ma che non fa assolutamente paura. Lontanissimo dall’introspezione psicologica (William Peter Blatty) e dalle finezze registiche (William Friedkin) del primo indimenticabile capitolo, lontano dall’impeccabile stile di John Boorman e del suo numero due, L’Eretico, questa pellicole è stata sopravvalutata e mitizzata, resa un vero e proprio caso cinematografico quando invece già film nostrani come La Chiesa (1989) di Michele Soavi la distanziano di parecchie lunghezze. Figlia della moda del momento a Hollywood, girare inutili prequel, tediosi seguiti e scoraggianti remake; sarebbe bene cercare di dimenticare le sue inesattezze storiche, architettoniche e geografiche a favore del poco salvabile che ci resta, tra cui le maestranze italiane.
Bisognerebbe cercare di recuperare la versione girata e montata da Paul Schrader per rendersi conto di quanta spiritualità aveva bisogno un film come questo. Sperando che la Eagle ce lo regali in un DVD d’eccezione, se avete notato che l’indemoniata di turno, questa volta si muove come la sorellina di Spiderman e magari siete stati tra quelli che nel ’73 chiusero gli occhi quando la dolce Regan ruggì dallo schermo la sua possessione a tutto il mondo, c’è da lamentarsi esclusivamente con James G. Robinson e la sua Morgan Creek.


di Armando As Chianese
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