Les sauteurs
Melilla è una citta-enclave spagnola in territorio marocchino: un angolo di Unione Europea nel Nord dell’Africa, un luogo dei sogni per migliaia di africani che immaginano e desiderano una vita migliore in quel presunto “eldorado” europeo che li illude e, quasi sempre, li delude. Esattamente come l’altra enclave iberica Ceuta, Melilla è protetta da un sistema di separazione dal Marocco molto complesso: reti altissime, filo spinato, fossati, videocamere di sorveglianza anche a raggi infrarossi, sensori molto sofisticati. Il tutto per impedire che i giovani africani accampati sul vicino Monte Gurugù riescano a toccare l’agognato suolo europeo.
Il film Les Sauteurs ci racconta la storia di uno di loro: Abou Bakar Sidibé. Laureato in lingua inglese ed ex insegnante, Abou arriva dal Mali. Vuole raggiungere la Spagna, trovare la sua dimensione esistenziale, iniziare una nuova vita che possa dargli qualche speranza di miglioramento. Il ragazzo vive da mesi sul Monte Gurugù insieme a centinaia di “fratelli” con i quali effettua disperati assalti al confine, assalti che quasi sempre falliscono.
Ma l’aspetto particolare di questo documentario è il seguente: non è lo sguardo occidentale, dunque privilegiato, di un regista europeo a descrivere cosa accade ad Abou e ai suoi amici. È lo stesso protagonista a narrare le sue (dis)avventure con una piccola videocamera che gli è stata affidata da due registi: il tedesco Moritz Siebert e il cileno Estephan Wagner. E questi ultimi sono, di fatto, co-autori del film proprio insieme Abou Bakar Sidibé.
Analizzare dal punto di vista espressivo questo lungometraggio, rappresenta in chiave critica un’operazione molto semplice e, dunque, superflua. Trionfa, ovviamente, l’inquadratura in movimento, traballante e “sporca” e il montaggio scomposto. Innumerevoli sono le sequenze in cui Abou cerca di documentare i vani tentativi di oltrepassare il confine e anche quelle nelle quali si racconta la terribile esistenza giornaliera di questi fantasmi umani, sempre in attesa di affrontare, tra mille angosce e paure, il viaggio verso il miraggio Melilla. Tutto è sospensione e dilatazione del tempo, riflessione interiore. La voce fuori campo di Abou fa emergere dall’oscurità del pensiero sensazioni, tormenti, speranze che attraversano le menti di ragazzi africani che vorrebbero solo una vita normale. Le inquadrature malferme dell’improvvisato cineasta mostrano allo spettatore un’esistenza di stenti, in accampamenti miserabili, tra stracci usati come giacigli e cani randagi che mangiano rifiuti. Sullo sfondo le luci di Melilla attirano come il canto delle sirene gli sguardi di giovani che non hanno nulla da perdere.
Le Sauteurs è un film duro e vero, essenziale e diretto, anche se Abou a un certo punto sembra rendersi conto del potere comunicativo delle immagini e della forza (irreale) della rappresentazione visuale. Così, le sofferenze e le fatiche dei protagonisti divengono elementi che oltrepassano il già complesso valore della documentazione e che si collocano in un territorio posto al di là del cinema.
Accostarsi a questo film con atteggiamento politico, oltretutto, sarebbe ovvio ed estremamente riduttivo. Questo documento audiovisivo mira più in alto, vola oltre i pregiudizi, smuove qualcosa di destabilizzante, fa confrontare lo spettatore con la condizione spaventosa di esseri umani mossi dalla forza della disperazione ma anche dal disprezzo che taluni hanno verso quel colonialismo europeo che per molti africani rappresenta ancora una questione irrisolta, una ferita da sanare.
Non è possibile esprimere giudizi sui ragazzi che assaltano la rete di Melilla. Chi guarda le scene di questo lavoro non deve farsi confortare dalla propria situazione di occidentale, deve invece comprendere di avere a che fare con una riflessione sulla condizione umana, in generale. Non si tratta, infatti, di stabilire se le persone che tentano di entrare in Spagna in massa compiano un atto illegale oppure no. E neanche di decidere se la Polizia iberica faccia bene o no a mettere in atto i respingimenti.
Il problema va affrontato con un’altra ottica. Ciò che capita ad Abou e ai suoi compagni ci riguarda tutti, infatti; fa parte della storia di molti popoli, compreso, ad esempio, quello italiano (per decenni costretto all’emigrazione “economica”). Ed è da questo punto di vista, da questa prospettiva, che Les sauteurs va fruito.
In conclusione, non sembri inappropriato il modo in cui chiuderemo il nostro articolo. Lo faremo con una citazione da un libro di Primo Levi che si riferisce a una delle più spaventose tragedie della storia dell’umanità, la Shoah e la condizione nei campi di sterminio nazisti, ma che, facendo (con tutte le attenzioni possibili) le debite differenze, può essere avvicinato alla penosa avventura dei disperati del Monte Gurugù: “Voi che vivete sicuri. Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e i visi amici: Considerate se questo è un uomo…” (Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi).
TRAMA
Racconto dei tentativi, da parte di alcuni giovani africani, di superare la recinzione tra il Marocco e la città-enclave spagnola di Melilla, attraverso lo sguardo di un ragazzo del Mali: Abou Bakar Sidibé
di Maurizio G. De Bonis