Leoni per agnelli
Chi l’ha detto che il cinema non è in grado di intervenire sui grandi temi teorici? La smentita viene da questo Leoni per agnelli (Lions for lambs) che Robert Redford ha diretto dopo otto anni d’assenza dalla regia. Tre storie s’intrecciano e sorreggono un’attenta e disincantata riflessione sulla politica e la guerra. Un giovane e potente servitore bushiano concede un’intervista ad una giornalista televisiva progressista, con il segreto intento di farla portatrice dell’ennesima bufala sulla vittoria nella guerra afgana, la donna scopre il trucco, ma il suo direttore la costringe a fare ugualmente il servizio così come vuole l’uomo politico.
Un maturo professore universitario, dal passato di combattente della guerra vietnamita e dalle posizioni democraticamente avanzate, tenta di convincere uno studente promettente a non inseguire solo il mito del denaro e del successo personale. Nelle stesse ore due soldati americani, un neo e un ispanico, già brillanti allievi del professore, muoiono sulla vetta di un monte afgano, mandati al macello da una dirigenza militare incompetente e avventuristica.
Il merito maggiore del film è di schierarsi apertamente, dare a fatti e personaggi il loro nome e il loro volto, costruire una denuncia argomentata sull’assurdità della guerra e, in parallelo, sulla miserabile condizione sociale in cui sono costretti, in patria, milioni di americani. E’ un film manifesto che non teme di presentarsi come tale, non nasconde la sua posizione di parte, non si fa velo di esporre realtà tragiche e politicamente vergognose.
Certo, a livello di stile e linguaggio filmici, siamo ancora al cinema vecchia maniera, ma in tempi, come questi, chi oserebbe dire che questo è un difetto imperdonabile?
*Per concessione del sito web http://www.cinemaeteatro.com/
di Umberto Rossi