Le nevi del Kilimagiaro

Il cinema di Robert Guédiguian è tornato a casa: a Marsiglia, nel quartiere de L’Estaque -poi inglobato nel grande porto cittadino- è nato (58 anni fa) e cresciuto – figlio di un operaio delle ferrovie di origini armene- e che ha raccontato in film memorabili come Marius e Jeannette (1997), A l’attaque! (2000), La città è tranquilla (2000), Marie Jo e i suoi 2 amori (2002). Un ritorno che i suoi tanti estimatori avevano molto atteso, dopo un’assenza da quel set durata  ben 9 anni, durante i quali il regista è però andato alla ricerca delle sue origini (Le voyage en Armenie, 2005) e ha  indagato la storia politica del suo paese (gli anni di Mitterand, con  Le passeggiate al campo di Marte, 2005, la resistenza al nazismo con  L’armée du crime, 2009).

“Marsiglia è la mia lingua, la forma del mio cinema” e il cinema “è la sua vita, il suo journal intime”,  hanno affermato il regista e la sua compagna e complice, strepitosa attrice Ariane Ascaride in un appassionato incontro (coordinato da Barbara Sorrentini di Radio Popolare) al cinema Anteo per l’anteprima milanese del film.  E certo non è un caso che gli esiti più alti del suo cinema siano proprio quelli legati alla sua città e al racconto, attraverso essa, del nostro tempo e dei suoi cambiamenti, delle disillusioni cocenti ma anche delle speranze.

Forse sperare oggi vuol dire credere (ancora) nei miracoli. Durante l’incontro milanese è stato evocato Miracolo a Le Havre di  Kaurismaki (un altro porto francese, lontano, ma solo geograficamente, da Marsiglia). In questa Europa sull’orlo di un baratro morale e culturale prima ancora che economico e finanziario i due  registi, sia pure con ben diverse cifre stilistiche, sono infatti oggi tra i pochi a parlare degli ultimi, dei dropout, degli stranieri, dei precari mettendo in scena i temi etici (si potrebbe dire anche cristiani) ma a ben vedere  scopertamente politici  della solidarietà, del lavoro e del suo senso, della dignità umana, o di ciò che ne resta. Ma se la cronaca per il regista finlandese diventa materia per imbastire una “favola” contemporanea, per Guédiguian la cronaca è la vita reale, da raccontare senza orpelli  nè distanze, e i modelli della sua poetica cinematografica restano pur sempre il romanzo popolare e la denuncia civile (e infatti egli rende omaggio nei crediti del film al poema Victor Hugo “Les pauvre gens” così come al discorso sul coraggio di Jean Jaurès ai giovani di Albi, 1903).

Quello che il regista ascolta ed osserva con attenzione è però il mondo del 2011. Un mondo dove troppi fili si sono spezzati, nella politica, nel sindacato, tra le generazioni. Le sue idee restano sempre molto chiare sulle responsabilità: da un parte “l’attacco permanente del capitalismo ai diritti”, che si protrae da troppi anni, ma anche “la fine di una alternativa politica”, ovviamente di sinistra. Man mano che la sua età ed esperienza di uomo e di regista  avanzano, il suo cinema (realizzato sempre con gli stessi magnifici compagni di strada, tra cui, oltre alla Ascaride, si distinguono Jean-Pierre Darroussin – ammirato anche nel film di Kaurismaki – e) si arricchisce di temi e guadagna in profondità narrativa e psicologica. Ed ecco che questo film si addentra  con raro coraggio nelle diverse  contraddizioni del presente, dalle guerre tra poveri (vecchi e nuovi)  agli scontri generazionali in atto in una società dove i figli  hanno perso le speranze e  i riferimenti nelle istanze collettive dei  padri e si rifugiano nella famiglia, rischiando di aumentare solo le proprie paure.

Marsiglia e il suo porto (il film si apre e torna di continuo sulle banchine, le navi, le gru) sono ancora una volta immersi nel sole (nella bella fotografia di Pierre Milon), ma la luce non basta più a far dimenticare la cappa grigia che ci avvolge. Al porto c’è la crisi, manca il lavoro. Il film parte da un episodio di cronaca ordinaria. Michel, operaio cinquantenne e sindacalista CGT, propone il sorteggio come strumento egualitario (anche se magari poco equo) per risolvere un problema di esubero di personale. Ma lui stesso, che per il suo ruolo sindacale avrebbe potuto togliere il suo nome dalla lista, rinuncia al privilegio e accetta il gioco del destino: sarà  tra i sorteggiati,  non licenziato, ma comunque a casa, da prepensionato. Lo sostiene  l’affetto comprensivo della moglie Marie-Claire (i figli, a loro volta già padri e  pieni di ansie capiscono già meno il suo beaux geste) e la rete di amicizie e solidarietà che i due coniugi hanno costruito in trenta anni di vita e di lotte. Come dimostra la festa per  il loro anniversario di matrimonio: una sequenza sulla carta ad altissimo rischio di sentimentalismo  (scandita dalle note della canzone francese anni ’60 di Pascal Danel che dà il titolo al film) e che il grande talento di Guediguian rende un pezzo da antologia del cinema, per l’essenzialità delle parole, delle emozioni  e dello stile, nella fluidità tra primi piani e movimenti corali che connota, come e ancor più di altri, il film.

La brusca rottura narrativa impressa alla storia dalla violenta rapina subita in casa da Michel e dalla moglie  ad opera, come si scoprirà dopo, di un giovane operaio licenziato insieme a lui, segnerà l’inizio di un difficile percorso di autoconsapevolezza e insieme di riconoscimento della ragioni altrui: il giovane, poi arrestato,  vive da solo con due fratelli minori di cui è l’unico sostegno. Sarà, quello di Michel, un percorso interiore tra le ragioni, in apparenza inconciliabili, della vendetta, della giustizia, del perdono. Ma sarà anche un confronto serrato tra diverse visioni del mondo – di un mondo peraltro le cui coordinate sono radicalmente diverse:  quelle dei figli, degli amici e degli   ex colleghi (in primo luogo Raul, l’ottimo Gérard Meylan). Ma sarà soprattutto un confronto di verità con la moglie: un dialogo fatto di sguardi ma anche di riflessioni  vibranti tra le pareti o sul terrazzo di casa, per interrogarsi sugli ideali del passato, sulle inquietudini del presente (la paura di essere diventati ormai dei ”borghesi”), sulla volontà di costruire ancora il futuro e non arrendersi alla deriva.  Perché, come dice Marie-Claire, “quello che voglio è capire”.  Un film come questo può aiutarci a farlo.

Trama

Nonostante la recente perdita del lavoro, Michel vive felicemente, circondato dall’affetto degli amici, dei figli e dei nipoti, insieme alla moglie Claire con la quale ha condiviso trent’anni di matrimonio e di impegno politico. Questa armonia viene spezzata il giorno in cui due sconosciuti armati entrano nella loro casa derubandoli dei loro risparmi e lasciandoli sotto shock. Lo shock è ancora più forte quando scoprono che l’aggressione è opera di un giovane operaio licenziato insieme a Michel. Se l’interrogativo è amaro – per chi e per cosa abbiamo lottato? – la risposta sarà inattesa, felice e struggente al tempo stesso….


di Sergio Di Giorgi
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