Le Fate ignoranti

Nel terzo film di Ferzan Ozpetek è avvertibile, più che altrove, la malinconica condizione dell’esule da una Turchia amata, ma dove tuttavia non si può più tornare. Infatti è un libro di poesie complete diNazim Hikmet, massimo poeta turco, comunista, la causa dell’incontro tra un giovane omosessuale e un professionista felicemente sposato. E tale è il racconto che il giovane protagonista (Accorsi) narra con nostalgia e rassegnazione alla moglie (Buy) dell’uomo che egli ha amato clandestinamente per sette anni. Lui è morto travolto da un’automobile e un suo quadro, consegnatole da un amico comune, rivela sul retro la dedica di un amante che si firma “la tua fata ignorante”.
Ma chi sono queste fate ignoranti? Sono i gay che ironicamente sembrano ignorare i sentimenti e le ragioni dei cosiddetti normali.
Il regista è con loro senza riserve, in maniera totale, e lo si vede. Forse il suo alter ego è rappresentato dal ragazzo che arriva da Istanbul per poi farvi ritorno. Nel film la morte di una persona a cui si è legati, rispetto a La stanza del figlio, che è, bisogna dirlo, opera di un moralista del dolore, diventa uno strumento conoscitivo non solo di una verità prima taciuta, ma anche di una diversità di fronte alla quale misurare il proprio grado di comprensione e di tolleranza.
Mentre nei quadretti dialogici con la madre (una Erica Blanc invecchiata e di erotica memoria) istintivamente retorici, predominano il vuoto borghese, i luoghi comuni e un’inevitabile ipocrisia, nell’incontro tra Antonia e il mondo bizzarro dei gay è invece un’incertezza di scrittura laddove l’eros tradito, il mondo bizzarro dei gay e la diversità non riescono a rappresentare con forza una nuova grammatica del vivere e dell’amare.
Interessante, anche se non originale, è poi l’idea di connettere la forma della città (con particolare attenzione ai dettagli architettonici) a quella dei sentimenti dei personaggi (il ragazzo malato di AIDS che si ostina ad attendere l’amico che non arriverà mai poiché è morto, ma lui non lo sa, accanto al fiume, di fronte ad una costruzione di acciaio dove si erano già incontrati altre volte) pur nella sincera vitalità con cui vengono descritte le situazioni (in special modo l’ambiente omosessuale del protagonista) verso un finale incerto con più di una sfocatura (e quell’inutile montaggio parallelo…..) nel quale si vorrebbe dare un nuovo ordine sentimentale ai rapporti interpersonali, in realtà sottolineando l’impossibilità di mescolare mondi tra loro diversi.
Non a caso la protagonista scoprirà alla fine di essere incinta del marito, ma non oserà dirlo all’amico.
A questo punto è lecito attendersi da Ozpetek un’opera sull’esilio, questa volta senza compromessi con la presunta normalità degli “altri” (provate ad immaginare che il protagonista, anziché essere un italiano amante di Hikmet, fosse un turco innamorato di Pasolini o di Leopardi); così forse avremmo avuto un’altra storia dove la logica dei sentimenti (così congeniale al regista) si sarebbe inserita senza forzature in una più complessa dialettica culturale oltre che civile ed umana.
di Maurizio Fantoni Minnella